Se scrivo di vino e non di fusione nucleare c'è un motivo...

Tramite Google Alert ogni giorno ricevo tutta una serie di link che parlano di vino. Tra i vari presenti, mi è subito balzato agli occhi un articolo pubblicato da RomagnaNoi che decantava il “Marignanum”, un vino da vitigno….beh leggete voi e trovate gli errori (alcuni davvero clamorosi).
Un consiglio a chi redige questi articoli: a Roma si dice “nun t’avventurà”, se scrivi di vino almeno le basi…..

Rimini - "Marignanum" il nuovo San Giovese

Presentato il vino della fattoria Poggio San Martino. E’ già approdato in Alsazia, terra dello Champagne

SAN GIOVANNI IN MARIGNANO - Presentato ufficialmente questa mattina il “Marignanum” nuovo Sangiovese di Romagna superiore riserva 2007. Un vino che rievoca le radici del nome della città: il nome marignano deriva infatti dall’antico “fundus Marniani”, fondo agrario di probabile derivazione tardo romana ora scomparso. A salutare il nuovo vino della città il sindaco Domenico Bianchi e l’assessore alle attività economiche Nicola Gabellini contenti della produzione del nuovo vino che rievoca le radici storiche della città. “Padri” della nova creatura Antonio e Daniela Galli titolari della Fattoria Poggio San Martino, fondata nel 1958 da Mario Galli, padre di Antonio. L’azienda a breve avrà una conduzione femminile con la giovane Sara Galli 20 anni studentessa in vitivinicoltura ed enologia.
Il” Marignanum” è un Sangiovese di 14 gradi superiore riserva 2007. Per 1 anno è stato affinato nelle botti d’acciaio e per ‘ anno nelle botti di legno e per tre mesi nella bottiglia ed ora pronto per fare il suo debutto in tavola vicino a pietanze a base di buona carne. La sua origine è nei vigneti saludecesi di Poggio San Martino Trivellino dove la famiglia Galli possiede 6 ettari di fila
ri. 12 le etichette all’attivo per 1500 quintali di vino all’anno della fattoria Poggio San Martino che ha clienti in tutta Europa tanto che il “Marignanum” è già arrivato in Belgio, a Francoforte e Liegi, a S. Martin nelle Antille Olandesi ed in Alsazia patria dello Champagne.

Lampi di Bibenda Day 2010

Purtroppo non ce l'ho fatta ad andare quest'anno, ho mancato un'edizione molto bella del Bibenda Day, il livello delle bottiglie era tale che stavolta la banda Franco Ricci deve avere solo elogi. Anche se ho mancato l'occasione, Percorsi di Vino era in qualche modo presente grazie ad un inviato di eccezione, Andrea Andreozzi, una delle anime dei Botri di Ghiaccioforte, bellissima azienda di Scansano che produce uno dei migliori morellino della zona. Ecco il suo racconto di una parte dell'evento....

Mancavano soltanto i nani e le ballerine sabato 20 marzo al Bibenda Day, evento targato AIS Roma ed ospitato nella sontuosa sala del Roma Cavalieri.
25 grandi vini da degustare introdotti da cinque bravi relatori che ci hanno preso per mano e condotto in questo viaggio.
Vorrei trarre spunto da uno di questi,
Armando Castagno, per esprimere il senso della serata che ho vissuto: egli ci ha condotto alla scoperta di cinque grandi rossi italiani con una passione che non esiterei a definere commovente, inducendo una riflessione sullla "dirittura morale" di chi produce questo nettare meraviglioso e il "talento" del territorio da cui è prodotto: ebbene il talento è un patrimonio sul quale non si scherza!

Ci si augura che in futuro si accetterà sempre di meno la programmazione, l'aggiustamento e la ruffianeria prendendo esempio dal
Don Anselmo, un Aglianico del Vulture assaggiato in una annata straordinaria: il 1995 è una ordalia di mineralità vulcanica, florealità appassita e salinità feroce, una cartolina dal vulcano Vesuvio come lo ha definito Castagno, un vino che rende onore a chi lo ha creato, la famigla Paternoster.

A seguire un mito della enologia laziale:
Fiorano Rosso 1988 del Principe Boncompagni Ludovisi. La tenuta si trovava vicino l'Appia Antica, sulle pendici del vulcano laziale (purtroppo la vigna ha subito l'espianto), produzione limitata, forse la prima azienda biodinamica dal 1946, botti vecchie mai sostituite e minima aggiunta di solforosa, al naso il vino di taglio bordolese ti prende subito con la volatile che veicola profumi fini ed eleganti come i vecchi bordeaux, un modello di grazia ed eleganza principesca, senza alcuna deriva ossidativa!

Di corsa, come richiedeva il programma della serata (ma non si poteva avere più pausa tra una serie e l'altra), un altro fuoriclasse:
Brunello di Montalcino Riserva 1981 di Biondi Santi : spirito della tradizione, espressione della terra di origine, toscanità se questa espressione potrà mai vedere riconosciuto un suo significato, il vino è un profluvio di ferro, ruggine, pietra focaia, una progressione gustativa che ti viene voglia di mangiare la terra toscana che ha prodotto questo vino.

Proseguiamo con la leggenda di
Bartolo Mascarello (non mi sento di aggiungere altro sulla figura di un uomo fantastico) ed il suo Barolo 1986: vinificazione classica delle Langhe, 40 giorni di macerazione sulle bucce per estarre con pazienza tutti i polifenoli, botte rigorosamente grande, no Barriques No Berlusconi, caldisssimo e avvolgente per una annata difficile da dimenticare.

Per concludere questa serie abbiamo bevuto un
Amarone 1964 della storica azienda Bertani: da uve selezionate dai vigneti di Villa Novare, il vino in questione ha la particolarità che, prima di essere commercializzato, ha sostato 20 anni in botte e 10 anni in vetro. Dopo tutto questo tempo all'interno del bicchiere trovo il mondo intero: cioccolato, uva sultanina, prugna, terrosità delle radici ed una capagira di alcol e freschezza da consigliare di finirla li ed andare a casa.
Io, tuttavia, ho proseguito la degustazione perchè di sognare non sono mai stanco....

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Grazie a tutti

Andrea

Le migliori degustazioni a "Rosso Cesanese"

Tra i migliori assaggi a Rosso Cesanese posso annoverare:

Casale della Ioria – Torre del Piano Docg 2008: Paolo Perinelli è uno dei quelli su cui puntare per il presente e il futuro ed il suo Torre del Piano, con il frack per la nuova Docg, rappresenta un ottimo punto di partenza per coloro che vogliono capire le potenzialità del Cesanese. Nette e molto intense le note di visciola matura, viola e spezie dolci. In bocca è carnoso, polposo, anche se, come tutti i 2008 del resto, manca quel tocco in più di affinamento che renderà il vino armonioso in bocca. Da aspettare e stappare in futuro con grande goduria
Casale Verde Luna – Civitella Pure 2008: l’azienda nasce nel 2000 in località Civitella, vicino Piglio, dove da sempre oliveti e vigneti di Cesanese hanno trovato il loro habitat ideale. Seppur conosciuta maggiormente per la sua attività agrituristica, la produzione di Casale Verde Luna mi ha piacevolmente sorpreso per i due Cesanese presentati durante la manifestazione: il Civitella Cru e, soprattutto, il Civitella Pure. Il primo, più tradizionale, è vinificato totalmente in acciaio e si presenta con note aromatiche di frutta rossa sottospirito e anice stellato. Il secondo, vinificato in acciaio e affinato in botte per almeno 12 mesi, è più intenso, morbido, vellutato nelle sue sensazioni di frutti di bosco e rosa canina. Bella scoperta!
Cantina Martini - Santa Felicita 2006: guidata dal giovane Andrea Antonio, è ubicata presso il Podere Santa Felicita, un’antica residenza della tenuta della famiglia Massimi. Sita su un poggio, nel cuore dell’areale del Piglio, Andrea Antonio basa la sua produzione di Cesanese su uno dei vigneti più belli e antichi della zona, una vigna di oltre sessantenni da cui deriva il Santa Felicita che, col millesimo 2006, raggiunge livelli qualitativi fino ad ora mai visti per questo vino. C’è la potenza, l’espressione territoriale, la progressione gustativa e, soprattutto, tutta la complessità che solo le vigne vecchie sanno offrire al vino. Cercatelo.
La Visciola - Priore 2008: condotta da Piero Macciocca e Rosa Alessandri è l’unica azienda biodinamica della denominazione. I pochi ettari gestiti naturalmente danno vita ad un solo rosso aziendale, il Priore che in tutto e per tutto si distacca dagli altri Cesanese visti fin d’ora: di un rosso rubino scarico, ha uno spettro olfattivo non giocato sul frutto ma sulle sensazioni minerali, terrose e vegetali anche se, aprendosi, si riesce ad intravedere un frutto rosso mai maturo. Bocca caratterizzata da acidità elevata e da una componente minerale e floreale molto presente. Con i suoi 13,5% rappresenta una sorta di corpo estraneo alle altre produzioni.
Terre del Cesanese – Colle Vignali 2008: è il vino di Pierluca Proietti, presidente della Strada del Vino Cesanese, un prodotto che negli ultimi tempi mi sta piacendo parecchio anche se, potenzialmente, potrebbe dare ancora di più visto che Pierluca non sfrutta totalmente tutta la sua bravura e passione. Questa annata fornisce un vino ampio, armonico, di buon equilibrio anche se, subito dopo la deglutizione, esce una nota amarognola che inficia leggermente la degustazione. Un vino che dovrà affinare ancora molto ma che, se queste sono le premesse, promette di essere davvero interessante.
Petrucca e Vela – Tellures 2007: ho degustato anche l’ultima annata ma, tra le due, preferisco questa in quanto ho trovato il vino molto più pronto e di facile beva. Tiziana e Fabrizio conducono dal 2000 il vigneto della tenuta, disposto, in un unico corpo di 5 ettari, in posizione collinare ad un altitudine compresa tra i 450 e i 500 metri sopra il livello del mare. Il Tellures, attenti a non chiamarlo Tellus, è un vinone dal grande estratto e dalla grande potenza mediata da una buona freschezza. Cosa non mi ha convinto? Che sembra il fratello piccolo del Romanico non raggiungendo, però, la classe e la complessità del vino di Coletti Conti.
Antiche Cantine Mario Terenzi – Casal San Marco 2006: l’ultima annata non ce l’avevano al banco di assaggio, mi hanno offerto solo questo 2006 che ho trovato molto caldo, intenso, e dal quadro aromatico giocato su note di erbe medicinali, rabarbaro, humus e frutta nera. Bocca in linea col naso e chiusura amarognola in stile amaro del frate. Non mi ha convinto fino in fondo e vorrei riprovarlo anche in altre annate.
Giovanni Terenzi – Colle Forma 2008: altra azienda storica del territorio, è dagli anni ’50 che la famiglia Terenzi, con nonno Giuseppe Mario, produce del Cesanese di buona struttura e media qualità. Il Colle Forma che ho degustato non mi ha entusiasmato, troppo giovane per valutarlo appieno, molto meglio il loro Cesanese base che, con tutti i limiti del caso, era dotato di grandissima bevibilità.
Marcella Giuliani – Dives 2008: per carità i suoi vini sono sempre tecnicamente ben fatti, Cotarella per questo è davvero un gran maestro però, più li bevo, più penso che pecchino un po’ di territorialità. Alla perfezione preferisco di gran lunga una “sana” mancanza se questa è fatta per troppo amore.
Coletti Conti – Romanico 2008: lo sa benissimo Antonello che deve essere lui l’elemento trainante di tutto il comparto, lui che è un tribicchiereto, un pentagrappolato e chissà cosa altro di bello. Ho lasciato i suoi vini per ultimi perché sapevo che dopo di loro ci sarebbe stato il nulla e così è stato. Il suo Romanico 2008 è da cappottamento e triplo salto mortale all’indietro, ha la classe cristallina di Lionel Messi e la potenza distruttiva di Batistuta, una sorta di limbo edonistico da cui è difficile uscire. Se lo scorso anno col 2007 è stato il produttore laziale più premiato, non so cosa può succedere con un questo Cesanese che promette faville.
Mettiamo i 4 bicchieri?

Sulle traccie del "Rosso Cesanese". Piccoli appunti di discussione per il primo vino Docg del Lazio

E’ il primo e unico vino Docg della mia Regione e questo fine settimana è stato giustamente festeggiato con la prima edizione di “Rosso Cesanese”, evento svolto nel bellissimo centro storico di Anagni dove tutti i produttori di “Cesanese del Piglio” hanno presentato in anteprima alla stampa, agli operatori di settore italiani ed internazionali e agli appassionati l’annata 2008, la prima con la “famosa” fascetta viola.

Prima di entrare nel particolare dei vini, dal giro che mi sono fatto tra i vari produttori sono emersi due fattori principali. Il primo: la qualità media dei vini, rispetto a qualche anno fa, si è notevolmente alzata e questo soprattutto dopo che la stampa nazionale ha iniziato (giustamente) a premiare la tipologia.


Coletti Conti, il più premiato tra i produttori di
Cesanese, per molti non dovrebbe rappresentare un punto di arrivo ma di partenza, dovrebbe essere lo stimolo per guardare avanti con coraggio e scrollarsi di dosso quella inerzia che spesso ha costituito il principale limite allo sviluppo qualitativo del Cesanese. Le potenzialità ci sono tutte per far bene: vigne spesso ultradecennali, bellissime esposizioni e, in un caso, pratiche agronomiche del tutto naturali possono dar vita ad una grandissima materia prima che aspetta solo di esser valorizzata e, in alcuni casi, non traumatizzata. Il territorio c’è e il Cesanese può e deve essere la sua naturale derivazione.

L’altro aspetto che ho notato, in questo caso poco positivo, è che
molte produzioni sono ancora troppo artigianali e legate al passato. Mi spiego meglio. Trovo ancora arretrata la mentalità di certi vignaioli che, accanto al vino di punta dell’azienda, magari di buona fattura, producono tutta una serie di prodotti base di livello certamente non eccelso. Va bene, per me, creare una suddivisione qualitativa del vino ma, se la produzione di basso livello debba poi coincidere con quella più importante, anche dal punto di vista economico, allora non ci siamo, non farà mai nessuno sforzo per crescere ed andare oltre il concetto di vino sfuso o, al massimo, utile per le osterie del luogo.

Altra cosa che trovo limitante è che ci sono molti
produttori di vino “part-time”, nel senso che spesso hanno un altro lavoro (quello che “li fa campare”) e quello del vignaiolo è solo un duro passatempo del week end che, nonostante tutto, sta fornendo loro grandissime soddisfazioni. Signori, e questo ve lo dico col cuore, la vigna e tutto ciò che ne discende è un qualcosa che va curato ogni giorno, costantemente, perché ogni piccolo errore o semplice ritardo nel processo produttivo lo pagherete nel bicchiere. Le puzzette che ho sentito in qualche vino degustato certamente non vengono dal cielo ma, magari, da un ritardo nel rimontaggio o nel travaso del vino. No, quindi, al vignaiolo per hobby e assolutamente no al vignaiolo che produce per una clientela di bassa cultura enologica.

Domani pubblico qualche nota di degustazione. Prosit!

Il 6 Aprile 2010 a Roma un grande pranzo di beneficenza in onore di Medici Senza Frontiere

Grazie alla collaborazione della colonna pugliese del forum del Gambero Rosso il 6 aprile presso il ristorante "Antica Osteria L'Incannucciata" di Roma sarà organizzato un bellissimo pranzo di beneficenza in favore di Medici Senza Frontiere. In cucina, per l'occasione, si alterneranno grandi chef nazionali: Arcangelo Dandini (l’Arcangelo, Roma), Dino De Bellis (l’Incannucciata, Roma), Beppe Schino (Perbacco, Bari), Franco e Catia Solari (Trattoria dei Mosto di Conscenti di Ne, Genova) e Luciano Lombardi (Vignadelmar, Monopoli).

Il menù sarà il seguente:
  • Sformatino di broccoletti con stracciatella di burrata e julienne di capocollo di Martina Franca (Ristorante Perbacco di Bari)
  • Canelloni di farina di mais con cavolo nero e formaggio della Valgraveglia in crema di Pinoli (Trattoria dei Mosto di Conscenti di Ne - Genova)
  • Ravioli di pane e prosciutto con gobbi al burro e pomodorini confit (Antica Osteria L’ Incannuciata di Roma)
  • Finta trippa alla romana con pecorino e menta (Ristorante l’Arcangelo di Roma);
  • Torta Saint-Honoré alla crema chantilly e cioccolato fondente (Osteria Vigna del Mar di Monopoli)
Prezzo per il pranzo di 40,00 euro vini inclusi.

Ma non finisce qua perchè, subito dopo la grande mangiata, è tempo di altra beneficenza e, per l'occasione, saranno messe all'asta le seguenti bottiglie:

1 Chateau Montrose 2001 mgn

1 Chateau d’Yquem 1999 (0.75 lt)

1 Chateau de Pez 1998
1 Barolo Bussia di Monforte d’Alba Prunotto 1964
1 Barolo Oddero 2004 mgm

1 Barbaresco Pora Prunotto 1967

1 Barbaresco Riserva Asili Bruno Giacosa 1996 mgn

1 Barbaresco Asili Bruno Giacosa 2004 dmgn

1 Rosenmuskateller Abtei Muri 2006

1 Weisseburgunder Terlano 1987

1 Le Pergole Torte Montevertine 2001 mgn

1 Decennale Poggio di Sotto 2001 mgn

1 Chianti Classico Riserva Il Campitello 2006 mgn

1 Brunello di Montalcino Riserva Marchesato degli Aleramici 2003 (5 litri)

1 Brunello di Montalcino Cinelli Colombini 2004

1 Brunello di Montalcino Le Ragnaie mgn

1 Kurni Oasi degli Angeli mgn

1 Fiorano Semillon Boncompagni-Ludovisi 1989

1 Patriglione Cosimo Taurino 1994

1 Pier delle Vigne Botromagno 2003 mgn

12 Vigna del Melograno Santa Lucia 2007 (nero di Troia)

1 Amativo Cantele 2007 dmgn

1 Le Cruste Alberto Longo mgn (nero di Troia)

2 Aglianico del Vulture Macarico mgn

6 Primitivo Old Vines Morella 2007

1 Falcone Rivera 2002 mgn

6 Catapanus D’Alfonso del Sordo (bombino bianco)

6 Casteldrione D’Alfonso del Sordo (nero di Troia)

6 Riserva Chiaromonte 2006

6 Riserva Chiaromonte 2005

6 Muro Sant’Angelo Chiaromonte
Le Braci 2001
1 Sessantanni Feudi di San Marzano mgn (primitivo)

1 Feudi di San Marzano mgn (negramaro)

1 Turriga Argiolas 1999

1 Valle Cupa 2003 – Salento Rosso IGT – Apollonio mgn

1 Sauternes Chateau de Malle 03 mgn


La lista non è definitiva ma in continua evoluzione.

Per prenotazioni chiamate Dino De Bellis allo 06.45424282 oppure mandate una mail a oste@vignadelmar.it.

Tra esperimenti nucleari e falsi vini

Chi garantisce che un Bordeaux o un Borgogna è davvero pregiato tanto da diventare un buon investimento, almeno per i collezionisti di bottiglie? I ricercatori australiani hanno trovato il modo, sfruttando le conseguenze degli esperimenti nucleari sull’atmosfera. Ma andiamo con ordine. Stabilire l’annata di un vino non è sempre facile e, con i prezzi che corrono, i falsi non mancano. È vero che i produttori si sono inventati vari sistemi per impedire le contraffazioni, sistemi basati su sigilli speciali o su etichette high tech, ma non esiste un metodo infallibile per dire che quello riportato dall’etichetta corrisponde a quello che c’è nella bottiglia.


TUTELARE IL CONSUMATORE - Il problema se lo sono posto anche i ricercatori dell’Università di Adelaide e non a caso : l’Australia è una grande produttrice ed esportatrice di vini e si sa che certe annate sono particolarmente buone, grazie al verificarsi di condizioni ambientali ideali per le viti, e che altre, invece, non lo sono affatto, sia per la quantità che per la qualità della produzione. Tutto questo condiziona il mercato, compreso quello dei «falsi». Adesso però i consumatori più raffinati e i collezionisti più esigenti hanno trovato chi potrebbe tutelarli. La ricerca australiana, infatti, ha dimostrato che l’anidride carbonica radioattiva, prodotta dai test atomici nell’atmosfera e assorbita dalle viti, può essere utile per valutare l’annata.


IL CARBONIO 14 – La tecnica è simile a quella usata per determinare l’età di reperti archeologici, e si basa sul confronto fra la quantità di carbonio 14 (C-14), una forma poco comune di carbonio presente nell’atmosfera, e la quantità di carbonio 12 (C-12) che, invece, è più stabile e abbondante: il rapporto fra questi due isotopi è rimasto costante nell’atmosfera per migliaia di anni. «Fino alla fine degli anni Quaranta – spiega Graham Jones, coordinatore della ricerca che è stata presentata a San Francisco, al meeting annuale dell’American Chemical Society – il carbonio 14 era prodotto, nell’atmosfera terrestre, dall’interazione dei raggi cosmici con l’azoto. La situazione è cambiata negli anni successivi fino al 1963, periodo durante il quale sono stati condotti, nell’atmosfera, numerosi esperimenti atomici che hanno significativamente aumentato la quantità di C-14. Quando i test sono terminati, è cominciata la diluizione di questo C-14 nella CO2 prodotta dalla combustione di combustibili fossili».


BOTTIGLIE AUSTRALIANE - Ecco allora che piccolissime quantità di carbonio radioattivo possono essere «catturate» dalle viti attraverso l’assorbimento di anidride carbonica e finiscono nel vino: l’analisi della presenza del C-14 in rapporto ad altri isotopi del carbonio può dunque indicare l’anno in cui quest’assorbimento di C-14 è avvenuto. I ricercatori hanno utilizzato uno spettrometro di massa per valutare la presenza di C-14 nelle componenti alcoliche di 20 vini rossi australiani, prodotti dal 1958 al 1997, e l’hanno confrontata con i livelli di radioattività di campioni atmosferici noti, dimostrando che il metodo funziona. La capacità di questa analisi nello svelare le frodi può essere migliorata associando altri test che valutano, ad esempio la presenza di sostanze come l’acido tartarico o derivati fenolici.


Fonte: Corriere.it

Sassicaia 1979 vs Tignanello 1979

La scorsa settimana, durante l’asta di Gelardini & Romani, ho incontrato questi due trentunenni che sedevano in bella mostra alla mia destra. Strano vederli insieme, spesso sono da soli, a volte girano in verticale con i loro fratelli, per cui l’occasione era troppo ghiotta per non parlare un po’ con loro, analizzarli, comprenderli, nonostante il poco tempo davanti e le tante persone che premevano per incontrarli.

Monsieur Sassicaia mi dice che è nato in un’annata climaticamente sfavorevole, diciamo sfigatella, in una fase storica che vorresti scordare soprattutto per le notizie di cronaca del tempo che parlano di brigate rosse, neofascisti, governo Andreotti ed invasione russa in Afghanistan.
La cattiva stella sotto cui è nato Monsieur Sassicaia la possiamo ritrovare anche quando gli chiedo di farmi sentire i suoi profumi, voglio capire che odore ha perché è tutt’altro che espresso, intenso, aromaticamente ha un’anima sfuggente, purea di frutta rossa e poco altro, nulla che faccia pensare al tempo che fu. Forse in bocca va meglio, non è così ritroso, il vecchio ragazzo esce dalla sua timidezza iniziale, si muove, scalpita, malgrado oggi la sua struttura sia morbidamente fusa, compressa, tempo fa potevamo parlare di eleganza, oggi potrei dire che è esclusivamente voglia di non morire. E’stato un piacere conoscerla Monsieur Sassicaia ’79, un vero peccato non averla incontrata prima.

Mr Tignanello, nonostante abbia la sua stessa età di del Sassicaia, pare suo figlio, nelle zone interne del Chianti Classico l’annata, a dispetto della costa, è stata molto più regolare, a tratti calda, con un sangiovese giunto a piena maturazione che ha dato vita a vini moderatamente potenti e longevi. Quello che ho davanti, infatti, è un bel ragazzo di 31 anni, con qualche capello bianco stile Richard Gere anni ’90, che ha un’anima ed un carattere decisamente di impatto, elegantissimo il terziario che ho trovato, quasi noir, giocato su toni di prugna, fieno bagnato, tabacco e spezie nere.
Bevendolo possiamo apprezzare la sua progressività, intensità e la rara eleganza. Lo ammetto, il 1980 mi era piaciuto di più, forse per la struttura tutt’altro che svanita, forse per la maggiore complessità organolettica, però questo millesimo rimane un’altra, l’ennesima, versione di un vino che sembra non morire mai, un highlander che ancora oggi darebbe vita ed epiche battaglie con qualche Brunello pari annata (vedi alla voce Soldera Riserva).

E’ terminata la serata, i due toscani ormai finiti e sfiniti giacciono in un angolino della sala, in penombra, a vederli ora da lontano sembrano simili ma, tutti quelli che li hanno incontrati quel pomeriggio, sanno che non è così, sono figli diversi dello stesso tempo che dopo 31 anni ancora possono raccontare, in un bicchiere, di un territorio e delle sue differenze. Roba da numeri uno.

Come concimare le piante con l'Echezeaux 1970 Magnum del Domaine de la Romanee-Conti

Un vino in...Voga?

Onestamente quando me le hanno fatte vedere pensavo fossero flaconcini di profumo dell’ultima campagna pubblicitaria D&G, ero già pronto a spruzzarmi il contenuto sul polso per sentire se la fragranza poteva essere di mio gusto ed invece una voce, molto acuta, mi ha detto di non farlo perché quella non era una boccetta di profumo ma bensì una “semplice” bottiglia di vino.

Ormai pensavo di averle viste tutte ma mi sbagliavo, i creativi del mondo enologico stanno andando oltre ogni mia immaginazione e Voga Italia, azienda vinicola italiana, ha creato un nuovo packaging non-convenzionale per la sua collezione di vini tra cui: Voga Pinot Grigio, Voga Pinot Grigio Sparkling, Voga Merlot e Voga Quattro (“sapiente” mix di Cabernet, Merlot, Shiraz e Pinot Nero).
Masini, tempo fa, cantava “Perché lo fai”. La domanda, oggi, anche se non sono un cantante, la pongo io a Voga e a tutto il suo staff di marketing. Perché lo fate?

Perché mettere un vino sfuso dentro una boccetta di profumo e farlo pagare 10 volte il suo prezzo reale?

Perché dovrei pagare una sorta di Tavernello frizzante come un vino di qualità superiore?

Perché rivolgere la campagna pubblicitaria ad un pubblico di giovani molto fashion credendo che questi siano degli idioti che si bevono tutto?

Perché credete che comprare una bottiglia così faccia molto figo?


Io sarò un tamarro, un coatto, un paesano ma, nonostante tutto, amo la cara e vecchia bottiglia e, soprattutto, se sono uno che se paga X euro il vino è perché sta dando valore al lavoro del vignaiolo e non di una agenzia di marketing che cerca di vendermi del fumo.

Ah, un ultimo consiglio: se comprate il vino Voga e non vi piace il contenuto po
tete sempre pensare, come è accaduto a me, che dentro vi sia un ottimo profumo al merlot di Sicilia e andare a letto come faceva Marilyn Monroe….

Tanti auguri ad un caro amico

Oggi compie la bellezza di 41 anni un caro amico, una delle poche persone che sa parlarti di vino in maniera sempre emozionante, unica, mai banale. Come lui ce ne sono pochi al mondo, credetemi, e non lo dico per piageria.
Auguri di cuore ad Armando Castagno.

Castello di Ama: verticale storica di Chianti Classico Vigneto Bellavista

Ama è un piccolo borgo tra le colline, a circa 500 metri sul livello del mare, nel comune di Gaiole in Chianti in provincia di Siena. Si trova nel cuore del Chianti Classico storico, dove i vigneti si alternano agli oliveti e al bosco.
Dal 1982 la gestione tecnica dell’azienda, nata dieci anni prima per amore di quattro famiglie romane, è affidata a
Marco Pallanti, illuminato agronomo che, in tempi non sospetti, diede all’azienda una svolta qualitativa significativa: infatti nel quinquennio 1982-1987 furono reinnestate circa 50mila piante, un'enormità se pensiamo che la densità per ettaro era di 2.800 viti. Un'altra pietra angolare nella costruzione del successo dei vini del Castello di Ama è rappresentata dalla ricerca di nuove forme di allevamento dei vigneti, finalizzate ad ottimizzare la maturazione delle uve.

Nel
1982, per la prima volta in Italia, si vedono ad Ama delle viti dove la parete fogliare è sdoppiata a forma di V. Il sistema, detto a lira aperta per la somiglianza che il profilo della pianta assume con lo strumento musicale, era il frutto di studi effettuati in Francia e veniva proposta per vigne a bassa densità di impianto. Lo scopo è quello di incrementare il potenziale qualitativo delle uve attraverso una maggiore superficie fogliare esposta; la foglia, simile ad un pannello, catturerà più energia solare da cedere ai grappoli. Oggi Castello di Ama può vantare una superficie totale di circa 250 ettari dei quali 90 coltivati a vigneto e 40 a ulivo, posti ad un’altitudine media di 480 metri.

Il
Cru Bellavista è la selezione di vigneto più antica, si estende su 22.81.70 ettari impiantati tra il ‘67 ed il ‘75 ad una altitudine compresa tra i 530 metri s.l.m. (della zona denominata Bellaria) ed i 456 metri s.l.m. (dei Campinuovi). Il terreno ha una composizione prevalentemente argillosa con una forte presenza di scheletro. La forma di allevamento predominante è quella a spalliera (14.50.00 ha) con potatura a Guyot semplice, mentre la forma di allevamento denominata Lira Aperta si estende per 8.31.00 ha. La prima edizione di questo Chianti Classico, composto da Sangiovese con un pizzico di Malvasia Nera, risale al 1978 ed è sempre stato il fiore all’occhiello dell’azienda visto che, con la sua forte personalità, rappresenta l’eccellenza del terroir di Ama. Marco Pallanti, durante il Roma Vino Excellence, ci ha presentato le sue prime 25 vendemmie al Castello di Ama proponendo una verticale da brivido del “suo” Chianti Classico Bellavista (io per motivi di lavoro ho potuto seguire fino alla ’95).

Bellavista 2006
: l’elogio del frutto e non del vino frutto maroniano. Grande eleganza, equilibrio e, soprattutto, una viva acidità che solo vigne così alte possono conferire al vino. Nasconde secondo me un potenziale impressionante.

Bellavista 2004
(da magnum): rispetto alla precedente annata questo Chianti gode di maggiore profondità, la frutta rossa è meno croccante e si percepiscono chiaramente anche delle intense sensazioni floreali e speziate. Palato di grande equilibrio, tutto le componenti del vino sono ottimamente integrate fra di loro. Cresce la goduria.

Bellavista 2001
: la maggiore percentuale di Malvasia Nera utilizzate per il vino dona a questo un carattere diverso, esuberante, nette le note di liquirizia, cioccolato al latte, confettura di pomodoro, frutta di rovo. Tutto mi sembra più dolce e stemperato rispetto alle precedenti annate. Bocca come al solito di grande equilibrio, matura, forse poco dinamica e vivace ma comunque convincente.

Bellavista 1997
(da magnum): nonostante l’annata calda il vino mantiene una grande freschezza, ricorda con tratti più maturi la 2006. Cassis, prugna secca, liquirizia, spezie nere sono tutti i toni aromatici che possiamo sentire in questo Chianti che gioca molte delle sue carte in bocca dove mantiene un tannino scalpitante e, ripeto, una vivida acidità. Alla cieca ci sarebbero delle figuracce.

Bellavista 1995
: rispetto al precedente sembra che non abbiano solo due anni di differenza. Sensazioni evolute al naso, in bocca presente tannini “vecchia maniera”, aggressivi e scalpitanti che forse fanno capire come l’azienda, nel corso del tempo, si stia continuamente migliorando.

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Andrea

Zymè e la ricerca dell'autoctono dimenticato

Da team di consulenza ad azienda agricola, il passaggio che ha portato Celestino Gaspari, vignaiolo della Valpolicella, e Francesco Parisi a produrre il LORO vino non è così banale, ci vuole sempre un briciolo di sana pazzia per mettersi in proprio in un mondo dove la concorrenza è tanta e a volte anche sleale. L’azienda agricola Zymè, dal greco lievito, nasce ufficialmente nel 2003 ed oggi conta una superficie di 16 ettari di cui 15 a vigneto (sia di proprietà, sia in collaborazione con altri vignaioli locali) e 1 ad oliveto, una parte collocata nella zona orientale di Verona (Val d'Illasi, Lavagno e S. Martino Buon Albergo) mentre la cantina, una ex cava arenaria del XV° secolo, risiede a San Pietro In Cariano.
Zymè, un marchio a metà strada tra modernità e tradizione, con un’unica grande passione: la ricerca dell’espressione territoriale pura attraverso la ricerca dell’autoctono, una filosofia aziendale che si concretizza nella produzione di vini unici, di personalità, a volte estremi. Zymè è sicuramente la riscoperta dell’Oseleta, vitigno autoctone veronese che viene utilizzato sia per produrre vino in purezza, sia per dar vita al loro Amarone.
L’OZ, Oseleta al 100%, è il primo di questi vini originali in quanto nasce da un vitigno “dimenticato” in Valpolicella e che mai si era vinificato in purezza dato il suo carattere rustico, selvatico. Questo patrimonio enologico è stato ripreso e riportato in auge da Celestino Gaspari che ne ha fatto un vino di grande espressione aromatica, inizialmente ritroso al naso, dopo qualche minuto si apre in tutta la sua potenza dove la frutta nera gioco un ruolo principale insieme ad una timida nota balsamica di fondo.
In bocca è tutt’altro che ruspante, il vino ha un bellissimo equilibrio e tanta polpa. Non conosco le valutazioni di Luca Maroni su questo vino ma secondo me ci si fa le flebo.

L’altro vino innovativo e per certi versi estremo è l’Harlequin, l’Arlecchino dei vini, multiforme e poliedrico così com’è il costume della popolare maschera italiana, fatto di cento stoffe e cento colori, come la terra, le stagioni, uniche ed irripetibile ma pure sempre riconducibili alla tradizione del territorio veronese.
L’Harlequin nasce da più varietà di uve provenienti da un’area vasta e diversificata. A determinare la scelta è un solo concetto: la qualità. Raccolte a mano grappolo per grappolo, vengono riposte in plateaux da un minimo di cinque giorni a un massimo di quaranta, in ambiente naturale, senza ausilio di macchine per la ventilazione forzata o per deumidificazione. Pigiate tutte insieme senza diraspatura, sono fermentate in vasca di cemento con lievito indigeno, senza ricorrere a alcuna bioteconologia, per quindici -venti giorni.
Follature, delestages e soprattutto vista-udito-olfatto dell’uomo sono la chiave per una buona fermentazione. L’occhio, l’orecchio, il naso ti raccontano tanto del vino, se lo sai ascoltare. Si procede poi alla svinatura e alla decantazione per circa dieci giorni. Poi lo si fa entrare in barriques nuove da 225 litri. Lì riposa per almeno trenta mesi, senza alcun travaso. Viene imbottigliato senza effettuare chiarifica.
Quindi rimane in cantina per almeno sei mesi per poi essere successivamente commercializzato ed arrivare nei nostri bicchieri come questo 2003, ultimo millesimo di un vino affascinante fin dai profumi, penetranti come una lama nel burro ed intensi come solo una tempesta aromatica sa colpire. Ampio di marmellata di visciole, ciliegia sotto spirito, a volte percepisco anche la frutta bianca matura, poi escono il cioccolato, l’incenso, le spezie nere, le erbe aromatiche, un fresco balsamico, la carruba, la vaniglia, e poi…e poi.
La bocca conferma senza esitazioni il naso, tutto è incredibilmente fresco, elegante ed equilibrato e, soprattutto, di persistenza infinita. Un vino che difficilmente si abbina in cucina, lo considero più da meditazione, e che proverei a tenere in cantina per altri dieci anni per vedere come evolve.

A breve provo la sfida: Harlequin Vs Kurni.

A Suvereto da Tua Rita in compagnia di Stefano Frascolla

Suvereto, nel cuore della Val Cornia, rappresenta il centro del mondo per Rita Tua e Virgilio Bisti che, nel 1984, acquisirono pochi ettari di terreno con l’obiettivo di creare, anzitutto, un buon vino per se stessi. La passione, la consapevolezza di produrre da subito un gran vino hanno portato i proprietari a guardare avanti, oltre il Trebbiano e il Sangiovese, impiantando nel 1988 le prime barbatelle di Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay, Riesling e Traminer, che vanno a «popolare» impianti fitti (8-9.000 ceppi per ettaro) e bassi, dove le potature corte e i diradamenti diverranno prassi consolidate pressoché sconosciute fino ad allora in zona.
Attualmente l’azienda conta un’estensione di circa 22 ettari totali di proprietà di cui 18 a vigneto che oggi può contare, oltre alle uve citate in precedenze, anche Syrah e Cabernet Franc.
Stefano Frascolla, genero di Rita e Virgilio e vero deus ex machina dell’azienda, ci accoglie in cantina con i suoi grandi occhi chiari, l’ambiente è subito familiare, rurale, nulla a che vedere con le mie fantasie che pensavano a Tua Rita come ad un’azienda fredda, manageriale, dove tutto è marketing e pubbliche relazioni. Scordatevi tutto questo, da queste parti, malgrado i tanti punti Parker e il via vai di giornalisti internazionali, si sono mantenuti ben saldi i piedi per terra perché il contatto umano e il rispetto per il territorio sono valori da difendere a prescindere da ogni politica commerciale.
Tua Rita, un mix tra tradizione ed innovazione, soprattutto in vigna dove gli impianti a cordone speronato vanno tra i 5000 ceppi per le vigne più vecchie, fino ad arrivare agli oltre 8000 per quelli di nuova realizzazione, con produzioni però bassissime specie per i vini più importanti che si aggirano appena intorno ai 30 – 35 quintali per ettaro. I terreni sono un misto di argilla e limo con presenza di scheletro piccolo. Stefano Frascolla dopo averci fatto fare breve giro in cantina di vinificazione, molto semplice e con la presenza di tini di legno troncoconici, ci fa accomodare presso la cantina di maturazione, 700 mq interrati di grande fascino dove riposano ed evolvono tutti i vini aziendali, un vero patrimonio dell’umanità mi verrebbe da dire. E’ ora di bere, valuteremo le annate 2007 e 2008 (principalmente da botte), due millesimi che, lo anticipo subito, hanno caratteristiche molto diverse le cui differenze saranno facilmente leggibili durante la degustazione. Arriva il “semplice” Rosso dei Notri 2008 (sangiovese 50%, merlot 10%, syrah 15%, cabernet sauvignon 20%, petit verdot 5%), prodotto base che amo sempre valutare in quanto penso che proprio questi vini, diretti e senza fronzoli, diano spesso un’idea abbastanza netta della filosofia produttiva fornendo anche importanti segnali su cosa mi aspetterà a breve nel bicchiere. Un rosso molto interessante, tanta frutta rossa, balsamicità, un tocco vegetale per un vino decisamente equilibrato e dalla grande beva. Ottimo inizio.
Perlato del Bosco 2007 (sangiovese 60%, cabernet sauvignon 40%): si sale di intensità, complessità, l’orchestra comincia a formarsi, rispetto al Rosso dei Notri, entrano in gioco le spezie nere, la grafite, vino più scuro, profondo e di bella persistenza.
Giusto dei Notri 2007 (cabernet sauvignon 60%, merlot 30%, cabernet franc 10%): entriamo in punta di piedi nell’olimpo, ormai Tua Rita non è solo Redigaffi, questo taglio bordolese rappresenta una validissima alternativa al vino più amato (una volta) da Parker. L’annata 2007 è si caratterizza per la sua freschezza ed eleganza, i vini sono tutt’altro che concentrati e ciò lo possiamo notare subito dal naso dove le note di rosa, sottobosco, ginepro, piccoli fruttini rossi non vanno ad appesantire un quadro aromatico che rimane molto vellutato. Possente l’apparato gustativo dove troviamo solo freschezza, integrità ed equilibrio.
Giusto dei Notri 2008 (da botte): annata completamente diversa rispetto alla 2007, all’eleganza, che rimane sempre, si aggiunge la potenza, la verticalità, il frutto è nero come nere ed intense sono le sensazioni di terra, china, grafite, cassis, peperone. Ricchissimo il palato, regala rotondità a 360°. Da seguire attentamente nel tempo.
Syrah 2007: l’equilibrio dell’annata regala un vino di classe, le note floreali, fruttate e speziate regalano solo pennellate aromatiche vellutate mentre in bocca il vino stupisce per la sua espansione al palato e per la sua bella spina acida. Lunga persistenza su note leggermente boisè.
Syrah 2008 (da botte): un mostro, nel senso buono della parola. Appena Stefano ci porta il vino la carica aromatica del syrah ci fa compiere un salto spaziale catapultandoci nel bel mezzo della macchia mediterranea. Siamo inebriati completamente dalle note di ginepro, alloro, rosmarino, menta, rabarbaro, china. Bocca intensa, succosa, un vino che non ti lascia mai. Superbo.
Redigaffi 2007 (merlot 100%): altro piccolo mostro di goduria, eleganza e freschezza si sommano esaltando gli aromi di bacche selvatiche, prugna, ferro, viola, goudron e fresche note balsamiche. Bocca guidata dalla freschezza, avvolgente, voluttuosa, con un tannino ben presente a bilanciare la morbidezza del vino. Finale interminabile come la nostra goduria.
Redigaffi 2008 (da botte): il vino è ancora abbastanza chiuso, in fasce, anche se la lettura è quella di un vino ancora più complesso, muscolare, dirompente ora nella sua carica di frutta nera e ricordi di sottobosco. Al gusto percepiamo che il vino è ancora in assestamento ma, quando ogni pezzetto andrà al suo posto, saremo di fronte all’ennesimo capolavoro firmato Tua Rita.

Prossimo appuntamento con Tua Rita? L’8 maggio con gli amici del forum del Gambero Rosso, ne vedremo delle belle..

Ca' Del Bosco - La Cuvèe Annamaria Clementi in una splendida verticale storica

Il Franciacorta Cuvée Annamaria Clementi di Cà del Bosco sicuramente è uno dei rari spumanti italiani che possono contrastare l’eleganza e la complessità degli champagne francesi. Durante l’ultimo Roma Vino Excellence Maurizio Zanella e Ian d’Agata hanno condotto una verticale storica di otto grandi annate di questo Franciacorta vinificato solo dai migliori cru di Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero e solo nelle grandi annate. L’Annamaria Clementi è il frutto dell’assemblaggio dei migliori vini base, di almeno 10 partite diverse, che danno vita ad una cuvée che rimane in affinamento sui lieviti per circa sette anni.

2001
: da un’annata importante in Franciacorta ne deriva un vino di grande eleganza e personalità che porge i suoi aromi in maniera delicata ma inesorabile. Bella la nota floreale e di frutta matura, non c’è alcuna sensazione di burro, vaniglia e crosta di pane. Bocca di grandissimo equilibrio e persistenza. Diventerà grande.

1998
: l’annata relativamente calda si sente già al naso con un sensazioni di confettura di frutta gialla (mela e pera), agrumi leggermente canditi, leggere note tostate. Sicuramente meno floreale e leggiadro del 2001 anche in bocca dopo c’è più struttura a scapito di una acidità un po’ latente nel finale.

1995
: il vino comincia a maturare, nette ora si fanno le sensazioni di fieno, spezie gialle orientali a corollario di una nota surmatura (c’è chi la chiamerebbe morbida) che lo rende meno elegante della precedente annata. Sento stranamente il legno. Fino ad ora l’annata meno convincente.

1993
: grandissima annata in Franciacorta. Naso caleidoscopico dove giocano le note agrumate, di fiori gialli, mango, litchi, miele, un insieme di aromi che sembrano tradire il lungo affinamento (5 anni e 6 mesi). Bocca di grande eleganza, piacevole grazie all’equilibrio tra le note sapido-fresche del vino e le note morbide tipiche del Franciacorta invecchiato. Da bere e ribere senza soluzione di continuità.

1990
: ancora un’annata calda e ancora un vino dai toni aromatici morbidi, al naso si avverte una note di caramella al miele Ambrosoli davvero intensa, poi arriva la frutta matura e una avvolgente nota tostata. Bocca molto armonica, calda, persistente, un Franciacorta che gioca tutte le sue carte sulla morbidezza.

1988
: questa annata, così come le successive, sono state sboccate apposta per questa verticale. Naso fine, elegante, per nulla gridato, la frutta matura è declinata in tutte le sue più eleganti versioni e trovo, finalmente, una nota minerale che aggiunge complessità al quadro olfattivo. In bocca trovo corpo, equilibrio, struttura senza che nulla venga ceduto ad una possibile ossidazione. Piacevolissimo.

1984
: sarò stato sfigato io ma ho beccato tre bottiglie, e dico tre, tappate. Ce ne era una quarta che non mi è arrivata che mi dicono di ottima fattura. Sì, vabbè, però…..

1979
: seconda grande annata dopo la mitica ’78. Naso di grande complessità, si percepiscono nette le note di mela renetta, miele di castagno, frutta secca, spezie e un eco minerale di grande eleganza. In bocca grande sapidità, avvolgenza, persistenza. Con un guizzo di freschezza in più avrei gridato al miracolo gettandomi ai piedi di Zanella. Rimane, comunque, un grandissimo Franciacorta, il migliore della batteria se paragonato alla sua età. Lo Champagne è avvisato!

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Andrea


Non capisco certi vini...

Si parla tantissimo di rinascita per alcune tipologie di vino italiano, soprattutto si legge in vari blog di un nuovo corso per il lambrusco, simbolo enologico storico di una Regione che per troppo tempo è rimasto ai margini della qualità organolettica.
Si dibatte molto anche di rinascita del Frascati laziale, in alcuni precedenti post di Percorsi di Vino ho seguito il dibattito, anche politico, che sta alimentando nuove speranze per quello che spesso viene definito il vino di Roma, il più amato e il più odiato.
Si parla tanto e si produce lo stesso tanto, troppo, perché se vado in giro per i vari siti internet si trovano dei veri obrobri, bottiglie che contengono qualcosa di inaccettabile (anche se potabile, lo dico subito) che male, malissimo fa a tutto quel movimento di rinascita qualitativa di cui parlavo prima.
Come si può a produrre, e questo lo chiedo anche al legislatore che lo permette, e vendere ancora oggi il Lambrusco di Puglia? No, dico, il Lambrusco, simbolo della Emilia Romagna, prodotto in Puglia? E venduto poi nei classici boccioni di vetro da due litri? Bella la foto, il classico pranzetto pugliese a base di Lambrusco e salame…
E che dire dei boccioni di Castelli Romani bianco color bianco carta?
Ripeto, vini assolutamente bevibili, ci mancherebbe, però mi chiedo a chi giova tutto questo: forse alla casalinga che compra questi prodotti per fare al marito l’ennesima scaloppina al vino? Ma lo sa questa persona che le stesse caratteristiche del vino, che lascio a voi immaginare, se le ritrova nel piatto?
Posso pensare anche che questi prodotti, dal punto di vista del marketing, siano orientati ai tanti muratori rumeni che ogni sera stanziano sotto la mia casa ubriacandosi con questi vini a basso costo. Parlate con le cassiere dei tanti discount di alimentari….
Tutto questo, in generale, non giova certamente al consumatore, sempre più confuso, indifeso e capace, dall’alto della sua inesperienza, di fare di tutta un’erba un fascio andando a penalizzare soprattutto i vignaioli seri.
Scusate lo sfogo ma certe cose, certe bottiglie, mi fanno venire la rabbia….

Jacopo Cossater organizza il Vinix Live di Perugia

Sabato 6 marzo, all'interno di ExEliografica, a Perugia, si terrà un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di vino.

Vinix Live!, evento itinerante e momento di incontro tra appassionati e produttori nato in rete sul social network dedicato al vino Vinix, farà infatti tappa a Perugia e vedrà protagoniste alcune delle più rappresentative cantine della regione.

Un banco d'assaggio quindi, durante il quale oltre a conoscere i produttori presenti ed assaggiare il loro vini sarà possibile - in via eccezionale e per il solo giorno dell'evento - acquistare le bottiglie ad un prezzo vicino al sorgente, il prezzo cioè normalmente riservato agli operatori.

Tra le cantine presenti Paolo Bea, Milziade Antano, Antonelli da Montefalco, Collecapretta dallo spoletini, Palazzone da Orvieto, Roccafiore da Todi, Lungarotti da Torgiano e la Cantina La Spina dalla zona dei Colli Perugini. Ospite gastronomico il Frantoio Trampetti, da Trevi.

Tutti i dettagli della manifestazione, il programma ed i produttori presenti sulla pagina di Vinix dedicata all'evento.

Michele Satta e il suo "Cavaliere" 1997

L'azienda nasce nel 1984, quando Michele Satta, laureatosi a pieni voti all’Università di Pisa, decise di lasciare la precedente attività di garzone di fattoria per iniziare una carriera di vignaiolo indipendente a Castagneto Carducci.
L’inizio è abbastanza duro, il vecchio fattore per cui lavorava gli lascia in affitto i suoi vigneti dove la resa si attesta attorno ai venti chili d’uva per pianta, ma la convinzione di essere in un ambiente di altissima vocazione enologica e l'incontro con l'enologo Attilio Pagli, tuttora collaboratore ed amico, lo spingono ad andare avanti e a costituire, nel 1988, il primo nucleo dell'azienda con l'acquisto del miglior terreno disponibile e la costruzione di una moderna e funzionale cantina.
Tutte queste trasformazioni nella vita lavorativa di Satta avvengono in un periodo fondamentale per Bolgheri e Castagneto Carducci perché, nel frattempo, esplode il fenomeno Sassicaia, nasce l’Ornellaia e nel territorio della Costa degli Etruschi c’è tutto un fiore di piccole e grandi aziende che nascono o si evolvono piantando merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc.
Tutti seguono la filosofia internazionale tranne lui, Michele Satta che, almeno inizialmente, punta dritto verso quell’amore territoriale che prende il nome di Sangiovese, una vera sfida per quel giovane vignaiolo che preferisce scornarsi con questo vitigno “umorale” invece che andare sul sicuro vinificando l’integerrimo Cabernet Sauvignon, sempre uguale a se stesso e spesso poco emozionante.
Da questa passione nasce il “Cavaliere”, selezione di Sangiovese nelle vigne aziendali, raccolto e scelto in piena maturazione. Diraspato, viene fatto fermentare in tini aperti di legno di quercia di piccole dimensioni, e la macerazione è effettuata con la sommersione soffice del cappello a mano, con il sistema della follatura per oltre venti giorni. Alla svinatura il vino viene messo nelle barriques dove sosta per dodici mesi. Senza essere filtrato, viene imbottigliato per riposare in vetro fino all' anno seguente.
Qualche giorno fa, durante il sempre più convincente corso sul Sangiovese tenuto da Armando Castagno, abbiamo avuto la possibilità di degustare l’annata 1997, un vino che sa di mare, mediterraneo con iniziale note salmastre, di acciuga, poi esce il tabacco, la resina, il chinotto, il fumè, il pomodoro secco ed, infine, la frutta nera. Una splendida evoluzione del Sangiovese della Costa degli Etruschi che si rileva anche in bocca dove il Cavaliere si esprime tridimensionalmente sul nostro palato con una coerenza, una armonia ed una persistenza che solo il grande Sangiovese toscana può offrire.