Sei anni senza Gino Veronelli


Non l'ho conosciuto, al tempo il vino era ancora una cosa profana ma, nonostante questo, lo considero il mio maestro, forse è il maestro di tutti noi che cerchiamo di scrivere di vino. 


Gino Veronelli è morto il 29 Novembre di sei anni fa e su Carta possiamo leggere il suo ultimo scritto, il suo testamento. Lo pubblico perchè fa venire i brividi.

L’isolotto di Santo Stefano è il “resto” di una antica eruzione sottomarina, una successione di basalti e di tufi. Il più orientale e piccolo dell’arcipelago pontino, ha forma ellittica con un diametro massimo di 750 metri da est ad ovest, minimo 500 da nord a sud; la circonferenza è di 2 chilometri, l’altezza di 68 metri.
Gli è stato dato il nome in onore di Santo Stefano, martire del 35 d.C.. Un suo discorso ripercorreva la storia di Israele, da Abramo a Gesù, e metteva in evidenza il disegno di Dio e l’infedeltà del popolo. Gran scandalo. Gli oppositori, furibondi, lo condussero fuori città e lo lapidarono. All’esecuzione era presente Saulo, il futuro Paolo apostolo, che: “approvava e stava a guardia dei mantelli dei lapidatori”.
Sì, alla bellezza e alla serenità sconvolgenti dei panorami, lugubre la storia. Già dagli imperatori romani, fu luogo di deportazione. Augusto vi relegò la figlia Giulia; Tiberio, Agrippina; Nerone, la moglie Ottavia, e qui la fece uccidere. Qualche secolo dopo, Ferdinando IV eresse l’Ergastolo (la E, maiuscola, è voluta: millanta i santi e i martiri che vi furono rinchiusi). Penitenziario eretto nel 1794-95 a tre piani, 99 celle e un cortile per l’aria dei carcerati.
L’isolotto era stato acquistato, anni sessanta, da un vignaiolo mitico, Mario D’Ambra (meditava d’impiantarvi vigne di forrastera e di perèpalummo). Un suo contadino abitava quello che era stato – fuori dalle mura del carcere – una avanguardia. Grande sala con un camino e vari vani per gli ospiti, cacciatori, soprattutto da che l’isolotto ha fama per il passaggio di beccacce e beccaccini (il contadino, un genio, aveva provvisto ad una minima conigliera; ad ogni sacrificio ubriacava le bestiole di alcol, così che non avessero il rigor mortis).
Fui il solo ospite con le mie quattro donne: Maria Teresa, moglie, Bedi, Chiara e Lucia, figlie.
Dedicavo le ore familiari al mare (luogo migliore: una buca basaltica, prediletta, anni annorum, da Agrippina); le ore notturne, solo mie, all’Ergastolo, per “ricerche” sul santo martire, Gaetano Bresci.
Ho camminato i lunghi corridoi e le celle; ho sostato – si arrovesciava il cuore – nelle “gabbie” di rigore, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo, sottosuolo. Chi v’era rinchiuso non poteva stare eretto.
Sapevo della lunga detenzione, in quelle celle, cui era stato costretto il giovane atleta, giunto di lontano, per attentare e uccidere, 29 luglio 1900, re Umberto I. Lo aveva fatto. Ed oggi ci si rende ben conto: aveva sbagliato. Oggi.
Era venuto dagli States ove collaborava a “La questione sociale”, inferocito per le repressioni vili e sanguinarie di Bava Beccaris, fine Ottocento. Si era convinti, allora, che uccidere un re, colpevole verso l’umanità, fosse un atto risolutivo. Fu rinchiuso in una delle gabbie, sottosuolo, in Santo Stefano.
Se la cammini, l’isola, anche nei luoghi più incantati per l’ardire senza uguali della bellezza, appena appena ti estranei, senti voci, non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni di cui fu oggetto, in quelle gabbie, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo. Visse da uomo libero. Non rinnegò la sua idea. Non ottenne un metro, per un metro, per un metro, di più. Non ergastolo.
Fu condanna alla morte. Morì pesto e battuto nella carne (la sua anima non poteva essere battuta, pestata, offesa; era l’Anima), dieci mesi dopo la reclusione, 22 maggio 1901.
Maria Teresa e le figlie – in quel periodo tra i più belli della nostra vita – una volta sola si accorsero del mio turbamento. Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce (ti voltavi ed era un paradiso: il mare e, un po’ decentrata, l’Isola di Ventotène). Una frase all’ingresso: “Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio”, minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci.
Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa. Mi prese la mano. Ammutolite le bimbe.
L’Anima è il rispetto dell’altro. La giustizia di Dio una palla. Quella degli uomini dovrebbe perseguire i criminali tipo Bush e Bin Laden. Dovrebbe colpire tutti coloro che schiavizzano l’umanità per diventare, giorno via giorno, più ricchi.
Leggi il documento emesso dall’Arci, Comitato regionale toscano, sulle ignominie della famiglia Bacardi (www.arcitoscana.org/internazionali/inibac.htm). Abbi il minimo, civile coraggio di sbattere in faccia il loro rhum che ti fosse offerto.

Avete capito, giovani lettori: questo è un testamento. Entro in clinica oggi pomeriggio per una operazione da cui, di solito, non si esce. Per la prima volta ho la gioia di essere stato il vostro Maestro.


#Colfóndo1 Bis chez Jacopo Cossater


Grazie a Jacopo Cossater posso dire che anche io, in ritardo, che ho partecipato a #Colfòndo1….bis.
Certo, non siamo proprio a Casonetto d'Asolo e mancano i produttori con i quali interloquire ma, nonostante questo, all’interno dell’ExEliografica di Perugia tira lo stesso una bella aria, c’è voglia di scoprire, capire e, perché no, dire la nostra sull’argomento.


Il prosecco Colfòndo o, per dirla alla francese, Sur lie, non è altro che il prosecco storico del trevigiano quando, a causa delle vendemmie spesso tardive, i vini rimanevano dolci causa basse temperature per poi ripartire in fermentazione a primavera quando ritornava il caldo.
Il risultato è un vino torbido, naturale, che conserva tutti i suoi lieviti che, per effetto dell’autolisi dovrebbero aver fornito al prosecco spalle ampie e forti e un carattere piuttosto indomabile.


Otto bottiglie in degustazione cieca (anche se qualcuno ne contava nove…..) divise per area geografica.

La BassetaDoc Treviso: è il prosecco che forse ha avuto la maggiore evoluzione nel bicchiere. Parte inizialmente serrato con una nota sulfurea a coprire il ventaglio aromatico che, col passare del tempo, si è schiuso e c’ha parlato di sensazioni di pesca, agrumi, frutta tropicale e un tocco minerale. Al palato purtroppo mi ha deluso, è sfuggente dal centro bocca in poi e non riesce a farsi ricordare come dovrebbe.

Lorenzo GattiDoc Treviso: sicuramente il prosecco sur lie più estremo che ho bevuto a Perugia. Il naso gioca su note abbastanza dolci dove ritrovo la mandorla amara, il caramello e la banana matura. Al palato è molto meglio del precedente, è abbastanza ampio, persistente, coerente col naso visto che in chiusura ritrovo un finale leggermente amarognolo. Per me rappresenta una versione troppo estrema di prosecco che difficilmente berrei in maniera compulsiva.


Bele CaselDocg Asolo: pur avendolo bevuto più volte a Roma ho fatto fatica a riconoscerlo alla cieca visto che ha tirato fuori delle note, estreme, che prima non avevo mai notato a questi livelli. Bocca e palato monocorde dove la nota di succo di pera l’ha fatta da padrone per tutta la degustazione. Si salva dalla catastrofe per una nota minerale che ogni tanto riesco a percepire. La bocca resta comunque equilibrata e dalla buona persistenza finale. Monocorde e forse bottiglia non ok.


Biondo Jeo - Docg Asolo: ad Asolo la pera rappresenta un descrittore tipico del prosecco sur lie perché anche questo vino ce l’ha bella in mostra anche se in maniera più discreta del precedente. Rispetto a Bele Casel, inoltre, l’olfattiva mostra maggiore ampiezza visto che ritrovo odori agrumati e di frutta bianca appena matura. Lieve minerale. In bocca manca dello sprint giusto per essere ricordato. Un gregario di lusso.

Costa di là - Docg Conegliano: acciderbolina che colore, un oro brillante carico che con la mente, anziché in Veneto, mi porta già al Sud. Il naso non tradisce le attese snodandosi tra profumi di mela golden, agrumi, fiori gialli di campo, miele, tabacco dolce. Bocca di bella struttura, intensa dove ritornano le sensazioni olfattive. Chiusura amara, troppo per i miei gusti. Altra interpretazione estrema che, forse, con la tradizione non c’entra un tubo.

Zanotto - Docg Conegliano: è il prosecco col fondo più scarico di colore di quelli bevuti fin d’ora, scarico e anche poco velato. Il naso mi stupisce fin da subito perché tira fuori intense e affascinanti aromi di pietra focaia, fiori di mandorlo e mela. In bocca è puro, preciso, sapido, fresco, non so perché ma a tutti noi ci è sembrato più un Franciacorta che un prosecco. Resta il più nitido ed equilibrato della batteria.

Casa Coste PianeDocg Valdobbiadene: un vino intimo, sussurrato, dove andare a ricercare col tempo la tanta frutta e fiori di cui è composto il suo leggiadro ventaglio aromatico. Anche in bocca è così, timido, soave, preciso, senza estremismi riesce a piacermi sorso dopo sorso.


Frozza - Docg Valdobbiadene: avevo sentito parlare di questo produttore di nicchia sui principali forum enogastronomici italiani per cui avevo tanta curiosità di assaggiarlo. Sia il naso che la bocca confermano che a Valdobbiadene ricercano la purezza e la precisione gustativa, tutto è didattico, nessuna forzatura e, per certi versi, voglia di evolvere. Frozza gioca molto con la frutta bianca e con i fiori. Assaggio sapido e di buona freschezza. Precisino come uno scolaretto in grembiule e fiocco. Rimane, forse, quello più tradizionale assieme al Casa Coste Piane.


Il 2010 per il Brunello di Montalcino? L'ennesima annata da leggenda!!


Tratto dal sito Winenews vi propongo un articolo molto interessante dove i principali produttori di Brunello si sbilanciano sull'annata 2010. Leggiamo! 

BRUNELLO DI MONTALCINO: IL 2010? VENDEMMIA ECCEZIONALE. IL PRESIDENTE RIVELLA: “ANNATA ECCELLENTE”. IL FATTORE VINCENTE? FORZA DEL TERRITORIO E SAPER FARE DEI VITICOLTORI. LO DICONO ESPERTI E PRODUTTORI. IL PROFESSOR SCIENZA: “VENDEMMIA A 5 STELLE".

Un raccolto in controtendenza rispetto agli altri territori della Toscana lascia intravedere una delle migliori annate degli ultimi anni. È questo il parere concorde di esperti e produttori che, a due mesi dalla vendemmia, hanno tracciato un primo bilancio della raccolta e si esprimono su quello che potrebbe essere il Brunello 2010, confermando, come sottolinea il presidente del Consorzio, Ezio Rivella, le previsioni di un’annata di ottimo livello qualitativo che avevamo preannunciato lo scorso ottobre”.
 
Per Vittorio Fiore, enologo e consulente, che opera a Montalcino dagli anni Settanta “i vini ottenuti in questa vendemmia - iniziata comunque con ritardi che sono andati da un minimo di 8 ad un massimo di 14 giorni - manifestano quindi caratteristiche straordinarie per il Sangiovese, sia sotto il profilo organolettico (al momento ancora in fase evolutiva), sia sotto quello dei parametri compositivi, che - oltre ad una gradazione alcolica di ottimo livello ed, in alcuni casi, anche piuttosto alta - presentano valori di polifenoli totali, di antociani e di estratto molto elevati e raramente riscontrabili in questo vitigno”.
 
Un grande territorio e un’annata da grandi viticoltori”. Questa la sintesi della raccolta 2010 secondo Giancarlo Pacenti dell’azienda Siro Pacenti e vicepresidente del Consorzio del Brunello. “Un risultato possibile - in una annata che si era presentata all’inizio abbastanza complessa- solo grazie alla grandissima capacità dei viticoltori di Montalcino”. Per il vino “ottima struttura, profumi intensi e soprattutto grande equilibrio insieme ad una eleganza straordinaria. Caratteristiche che é difficilissimo avere tutte insieme nella stessa vendemmia. Per me una delle più grandi vendemmie di sempre”.
 
Parere condiviso da Franco Biondi Santi, storico produttore del Brunello che, con la Tenuta il Greppo, è forse colui che ha visto più vendemmie di Brunello in assoluto “la raccolta 2010 è stata straordinaria. Il buon andamento climatico di Settembre ha dato come risultato acini piccoli con la buccia molto spessa, colorita e ricca di pruina. I mosti sono risultati molto zuccherini con acidità totale ottimale”.

Per Rudi Buratti, enologo di Castello Banfil’alto contenuto zuccherino ed un’importante acidità, uniti a polifenoli perfettamente maturi e colori intensi nei vini rossi sono le principali caratteristiche di quest’ultima vendemmia, un’eccellente premessa per vini di altissima qualità e da lungo invecchiamento. Il Sangiovese esprime in quest’annata la complessità dei profumi e l’eleganza ben strutturata della sua trama tannica. Un’annata, quindi, caratterizzata da un eccellente livello qualitativo che lascerà sorpresi gli amanti del Brunello e di tutti i vini di Montalcino. Ancora una volta Montalcino dimostra di essere un territorio unico, ad altissima vocazione viticola che premia i produttori che sanno interpretare al meglio la gestione viticola nelle differenti sottozone”.
 
E’ il parere anche di Patrizio Cencioni, che guida l’azienda Capanna abbiamo ottenuto dei vini di ottima qualità. Il risultato è senz’altro molto superiore alle aspettative che avevamo in estate, quando le abbondanti piogge primaverili avevano determinato un ritardo nella fase vegetativa delle viti. Invece, il buon clima diurno e le temperature notturne piuttosto basse del periodo successivo hanno portato a una maturazione progressiva delle uve, caratterizzate da un’elevata acidità. Queste caratteristiche si sono riscontrate ancor più nei vini nuovi: gradazioni alcoliche elevate con alte acidità totali, a cui si aggiungono alta quantità e buona qualità dei polifenoli”.
 
Fabio Ratto di Antinori Agricola sottolinea come “l’andamento climatico, abbinato ad attente cure agronomiche, ha consentito di ottenere uve di grandissima qualità. Le giornate di sole che hanno caratterizzato la raccolta hanno permesso una perfetta maturazione dei grappoli, regalandoci una materia prima di qualità eccellente. I vini si sono presentati sin dai primi giorni di vinificazione ricchi di meravigliosi colori e di tannini morbidi. Quella del 2010 a Montalcino è stata sicuramente una vendemmia “superiore”.
 
Per Fabrizio Bindocci, agronomo ed enologo della Tenuta Il Poggione “le giornate calde e ventilate di settembre ed ottobre hanno portato a maturazione perfetta le uve Sangiovese raccolte manualmente da metà settembre a metà ottobre. I vini sin dai primi giorni di fermentazione presentavano un colore intenso, carico, con tannini abbastanza morbidi preannunciando, almeno qui a Montalcino, una vendemmia decisamente ottima”.
 
Per Ermanno Morlacchetti delle Tenute di Castelgiocondo e Luce della Vite, “attualmente in cantina i nuovi vini rispecchiano le caratteristiche delle uve: importanti gradazioni alcoliche, intensamente colorati di ottima struttura e di assoluto pregio, indici che ci fanno pensare ad un’“annata da leggenda”. 

Anche Edoardo Virano, direttore delle Tenuta Col d’Orcia, evidenzia come “i vini ottenuti dalla vendemmia 2010 sono straordinariamente fruttati e colorati, caratterizzati da tannini maturi e persistenti adatti ad un lungo periodo di invecchiamento e longevi nel tempo. Fin dalle prime fasi della macerazione si è potuto notare un’ottima estrazione sia del colore sia dei tannini. Il risultato finale è una grande vendemmia, sicuramente una delle migliori degli ultimi anni”. Giacomo Neri, proprietario di Casanova di Neri, “poche volte nella mia esperienza di cantina ormai più che ventennale ho visto una così alta qualità. Le uve raccolte hanno dato vini di grande equilibrio, con profumi netti, ottima acidità, colori intensi e valori di polifenoli alti e di qualità”.

Ma cosa rende questo territorio così speciale d produrre annate di alta qualità anche in periodi dove gli altri territori faticano ad ottenere risultati?
Per il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura ed enologia alla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano - che definisce quella del 2010 “un’annata a 5 stelle” che ha avuto in generale un andamento climatico complicato che però a Montalcino i viticoltori hanno saputo interpretare nel modo migliore anche grazie ad un territorio incredibile che ha dimostrato ancora una volta di essere l’unica vera terra di elezione per il sangiovese. “Ne sono testimonianza i vini appena svinati che presentano caratteristiche di grande eleganza, non disgiunta da struttura e lunghezza in bocca, caratteristiche non trascurabili per un vino da destinare ad un invecchiamento la cui durata non ha riscontro in nessun’altro vino nel mondo.
 
Ma perché gli effetti di un andamento climatico poco favorevole non hanno intaccato l’integrità dei vini di Montalcino? Penso che la risposta risieda solo in una semplice constatazione: i vigneti di Sangiovese presentano un equilibrio vegeto-produttivo che consente loro di ammortizzare con grande efficacia le forzature e le conseguenze negative dell’eccesso di pioggia sull’uva. Questo equilibrio ha diverse origini, talune sono il risultato di un ambiente pedoclimatico di grande vocazione per i vini da lungo invecchiamento (il drenaggio dei suoli, la loro ricchezza di scheletro, la bassa fertilità chimica, altre invece risiedono nel “saper fare” dei viticoltori, che nel corso della loro lunga storia hanno sempre tenuto in considerazione due principi fondamentali nella produzione del Brunello: la fedeltà al territorio ed il loro onore di produttori. In pochi luoghi del mondo, celebri per la qualità dei loro vini, è possibile vedere come a Montalcino dei vigneti così ben tenuti e delle uve dalla maturazione così regolare, anche in anni difficili, a testimonianza che un vigneto in equilibrio con il territorio che lo ospita ha dentro di sé la capacità di reagire a qualsiasi insulto climatico".

Ad ognuno di noi le proprie valutazioni.......

Arte e vino a Roma: I vini dell’Imperatrice. La cantina di Joséphine alla Malmaison


Ancora arte abbinata al vino. Questa volta vi propongo una interessante mostra al Museo Napoleonico di Roma dove tra preziosi calici per lo champagne, bicchieri per acqua e vino, caraffe, rinfrescatoi, etichette e bottiglie sono in mostra “I vini dell’Imperatrice. La cantina di Joséphine alla Malmaison (1800– 1814)” che, dopo la tappa parigina e quella svizzera, é stata presentata stamattina al Museo Napoleonico di Roma.


L’esposizione promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale – Museo Napoleonico, realizzata in collaborazione con la Réunion des musées nationaux, il Musée national des Châteaux de Malmaison et Bois – Préau e il Musée Napoléon Thurgovie, château et parc d’Arenenberg, è a cura di Maria Elisa Tittoni e Giulia Gorgone, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. 

L’idea della mostra nasce dalla lettura dell’inventario, redatto nel 1814 dopo la morte dell’imperatrice Joséphine – prima moglie di Napoleone – nel quale è descritto il contenuto della cantina della Malmaison, dove erano custodite oltre 13.000 bottiglie. La lista dei vini offerti agli ospiti in visita al castello comprendeva un’incredibile quantità di diversa provenienza geografica. I migliori vini di Bordeaux, di Borgogna e di Champagne trovavano posto accanto ai vini del Languedoc-Roussillon, della penisola iberica, a vini italiani come il Picolit , il vermouth e il rosolio. La presenza del rhum e di “liquori delle isole” rimanda alle origini creole di Joséphine. 


La mostra vuole anche analizzare l’evoluzione, in epoca imperiale, della produzione vinicola e della sua commercializzazione grazie ai progressi dell’industria vetraria che incidono soprattutto sul perfezionamento della forma delle bottiglie.


Varie tipologie di bicchieri e di calici, esposti accanto a secchielli da ghiaccio, rinfrescatoi, coppe per il punch in cristallo e in argento, esaltano, grazie alla loro eleganza, la raffinata arte del ricevere e testimoniano i progressi tecnici della cristalleria francese facendo conoscere altresì l’evoluzione delle abitudini a tavola all’indomani dell’epoca rivoluzionaria. Una serie di oggetti posteriori all’Impero mostra le trasformazioni cui andarono incontro le produzioni di cristalleria, le tecniche di imbottigliamento e di etichettatura durante la prima metà del XIX secolo e fino all’alba del Secondo Impero.

Saranno esposti 148 oggetti legati alla cultura del bere e documenti provenienti dalle collezioni della Malmaison, di Fontainebleau, di Compiègne, dal Musée Louis-Philippe d’Eu, dal Musée Carnavalet, dal Musée des Arts Décoratifs, dal Musée National de Céramique di Sèvres, dalla Fondation Napoléon, dal Musée Napoléon Thurgovie, château et parc d’Arenenberg e dal Museo Napoleonico di Roma. In mostra anche materiali provenienti da collezioni private e dagli archivi di famose case di produzione vinicola come la Moët et Chandon.

Museo Napoleonico
 
Piazza di Ponte Umberto I, 1

Orari: martedì – domenica; ore 9-19. La biglietteria chiude 30 minuti prima; chiuso il lunedì.

Biglietto intero € 7 ridotto € 6: cittadini della comunità Europea di età compresa tra i 6 e i 25 anni e superiore ai 65 anni; cittadini residenti a Roma tra i 18 e i 25 anni; per le categorie previste dalla tariffazione vigente. 
Gratuito: sotto i 6 anni di età; cittadini residenti a Roma di età inferiore ai 18 e superiore ai 65 anni; per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Tutte le immagini qua: clicca 

Fonte: http://museiincomuneroma.wordpress.com

Tra Gambero Rosso e Vini del colli bolognesi...spunta la politica


Non ce la faccio più, manca solo che facciano una lettera di protesta a mago Zurlì o alla Posta del Cuore di Barbara Palombelli per spiegare quanto sono stati cattivi quelli del Gambero Rosso. Non fraintendetemi, non voglio difendere nessuno, però reputo stucchevole questa polemica che stenta a terminare. Al Gambero non piaccioni i vostri vini? Bene, fatevene una ragione e vedrete che vivrete bene lo stesso, tanto più se, come dite, le altre guide del vino vi danno punteggi lusinghieri.
Invece no, si va avanti e, come al solito, interviene la politica. Leggo su "Il Resto del Carlino" che l'assessore all'Agricoltura, Gabriella Montera, ha impugnato la penna per scrivere a Giorgio Melandri, il signor 'Gambero Rosso', e chiedergli delucidazioni. 

Giorgio Melandri. Fonte: Scatti di Vino


Melandri è finito nell'occhio del ciclone perché nell'edizione 2011 della celebre guida, considerata un po' la Bibbia del buon mangiare italico, ha speso parole poco tenere nei confronti del vino prodotto sui Colli. Questi i 'versetti' incriminati: “Nei colli bolognesi - scrive Melandri - la comunità di produttori fatica a trovare la cifra del territorio, stretta tra progetti legati ai vitigni internazionali sempre meno convincenti e l’incapacità di ragionare sul vino in termini di linguaggio. Il risultato sono in generale vini formali e poco originali, concepiti su un’idea di qualità che non fa i conti con il terroir”. 

Parole, queste, che avevano scatenato la 'rivolta' bolognese, capeggiata da Francesco Lambertini, conduttore della Tenuta Bonzara, che si era autoescluso dalla guida, nonostante fosse uno dei pochi 'superstiti'. Una rivolta sposata dai produttori dei Colli che, in coro, avevano giurato di non mandare più vini al 'Gambero'.

Vorrei premettere – esordisce l'assessore provinciale nella sua lettera - che mi guardo bene dall'invadere la sfera di giudizio sulla qualità, che non mi compete, così come non metto certo in discussione la sua autonomia critica, ma, come assessore all'Agricoltura della Provincia di Bologna, ritengo importante capire meglio qual è l'elemento qualitativo carente rilevato, perché le sue risposte non mi appaiono esaustive”. 

L'assessore Gabriella Montera
Montera sottolinea, poi, come Melandri, nella sua critica, non metta in discussione la qualità dei vino made in Bologna, ma punti il dito contro “la capacità di promuoverlo e commercializzarlo”. “Produttori e istituzioni – osserva l'assessore - hanno cercato di portare avanti congiuntamente un'azione di forma, per 'raccontare' meglio la nostra provincia, attraverso iniziative promozionali di valorizzazione dei prodotti e interventi di 'vetrina' del territorio, ma anche di sostanza: sono stati fatti ingenti investimenti per la riconversione e la ristrutturazione dei vigneti, e si è appena concluso il percorso di modifica del disciplinare, che ha determinato una significativa riduzione delle denominazioni d'origine per ottimizzare l'offerta”. 

L'assessore non nega che vi siano altri passi da fare “soprattutto nella capacità di investire sulla coesione per offrire un'immagine più forte e coordinata del territorio dei Colli bolognesi”, ma aggiunge: “Posso garantirle che oramai c'è una consapevolezza diffusa che questo è l'unico modo per poter competere con territori e produttori che hanno ben altre risorse”. 

La palla, o meglio il calice, ora passa a Melandri che, tra l'altro, aveva già risposto sulle questione nella pagine di Scatti di Vino.
The end?


Al MOMA di San Francisco il vino diventa arte moderna


Sabato 20 Novembre si è inaugurata al MOMA di San Francisco - il celeberrimo museo d’arte moderna -  l’esposizione How Wine Became Modern: Design + Wine 1976 to Now, un affascinante viaggio che esplora le trasformazioni del vino nella cultura visiva e materiale delle ultime tre decadi, dando modo di comprendere appieno la cultura contemporanea del vino e il ruolo svolto dal design nell’economia di questa metamorfosi.


La mostra, organizzata da Henry Urbach e Helen Hilton, può essere considerata la prima esposizione della storia che prende in esame la cultura globale del vino come facente parte di una più ampia rete di fenomeni culturali, nonostante abbia una sua forte connotazione individuale.

L'esposizione dispone di manufatti storici, modelli di architettura, installazioni multimediali, opere d'arte e anche di una "smell wall", parete aromatizzata per fornire al visitatore una vivida esperienza sensoriale nelle singole gallerie.

Ecco alcune delle opere che potrete vedere se passate da quelle parti:

Etienne Meneau, Carafe No. 5, 2009
Nella sua vasta opera murale dal titolo "In [ ] Veritas", Peter Wegner illustra più di 200 colori legati al vino e dimostra in modo vivace quanto il vino e il linguaggio da esso generato sia diffuso nella vita di ogni giorno. Questo è un dettaglio dell'installazione.

Peter Wegner, In [ ] Veritas, 2010; 216 in. x 1000 in.; paint (mural), graphic tape, vinyl lettering; installation detail; © Peter Wegner
La direzione del MoMa di San Francisco ha invitato anche due designer italiani di talento, Laura Fiaschi,1977, e Gabriele Pardi,1966, insieme Gumdesign. I due parteciperanno con due collezioni di calici da degustazione. La prima è la serie "Calici" prodotta da Seguso dedicata ai degustatori: c'è il calice per l'astemio, quello per l'equilibrato e infine il calice per lo smodato. Un divertente foro posizionato a diverse altezze smaschererà fin da subito le intenzioni di chi chiede il bicchiere! "Calici" è stato selezionato anche per il Museo del Design della Triennale di Milano.

Gumdesign, Calici, prodotto da Seguso
 
Libri, televisione, Youtube ma anche fumetti: il vino viene traghettato verso la popolarità da molti mezzi. Nella sezione Popular Culture anche un' esposizione degli Anima di Kami no Shizuku, di cui riportiamo alcuni esempi. Meraviglioso il montaggio dei cin cin più celebri del cinema, nella stessa area dell'esposizione.

Kami no Shizuku (Drops of God / Les Gouttes du Dieu); 2004-ongoing; book; © Tadashi Agi/Shu Okimoto/Kodansha Ltd.
Terroir, ovvero quel mix speciale di condizioni chimiche, fisiche e climatiche che definiscono l'identità di un vino. Con la globalizzazione dell'enologia, ogni produttore reclama un terroir unico, quasi come un Santo Graal. L'installazione, dal titolo "Terroir", mostra le diverse caratteristiche, tra cui il tasso di umidità, di 17 località produttive di tutto il mondo.

Terroir Gallery, image courtesy Diller Scofidio + Renfro
Una vetrina che contiene una profonda vasca di liquido rosso scuro fa da sostegno luminoso a un'esposizione di 30 calici sospesi.

Glassware Gallery, image courtesy Diller Scofidio + Renfro
Al termine dell'esposizione, dopo aver imparato tutto del vino e del terroir, una parete offre ai visitatori un'esperienza olfattiva diretta: è la Smell Wall. Sette vini diversi, sospesi a una parete, sono accompagnati da alcuni termini tecnici che danno corpo, voce e senso all'esperienza.

Smell Wall, image courtesy Diller Scofidio + Renfro
Nel cuore della Napa Valley, la Clos Pegase Winery è stata costruita sul progetto vincitore del concorso indetto dal MoMa di San Francisco nel 1984. Tre anni dopo, il centro Pompidou di Parigi organizzò un concorso simile. Era iniziata l'era dell'architettura delle vinerie.

Michael Graves, Clos Pegase Winery, 1987; image courtesy Michael Graves
Dennis Adams, SPILL, 2009; production still; single channel video
Courtesy the artist, Kent Gallery New York and Galerie Gabrielle Maubrie Paris

Fonte: Lei Web

Il Timorasso Spumante Tasting Panel visto dalle food blogger


Non vorrei fare il classico comunicato stampa dove per ogni cazzata che si organizza in giro alla fine si dice sempre che è stato un trionfo ma, per questo tasting panel, la parola adatta non può che essere SUCCESSO. Non tanto per le valutazioni del vino ma, piuttosto, per la partecipazione che si è scatenata in Rete dove tanti amici, tanti blogger ed appassionati di vino hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa lanciata da me e Paolo Ghislandi.
In tutto questo fermento la parte del leone o, meglio, delle leonesse l’hanno fatta le food blogger che, tralasciando un po’ la parte più tecnica della degustazione hanno abbinato il Timorasso Spumante a tantissimi piatti originali.

Un esempio? SOS Torta ci ha cucinato un buonissimo risotto allo spumante, Peperoni e Patate ha creato l’abbinamento con una mousse di San Daniele e patate in sfoglia di mele su besciamella, Tavole e Fornelli ci ha mangiato biscotti salati al timo e senape, Fior di Frolla  ci ha accompagnato una squisita quiche ai funghi porcini, patate e Emmentaler, mentre Con Amore per Amore  ha realizzato uno squisito matrimonio con le capesante.

Il risotto di SOS Torta
La mousse di Peperoni e Patate
Quiche ai funghi porcini, patate e Emmentaler
Con Amore per Amore e le capesante

Non è finita qua però. Anzi.

Zucchero&Sale c’ha mangiato i gamberi fritti alle mandorle e pepe, la Fucina Culinaria ha azzardato con la preparazione di una bavarese “Spumante & Nocciole”, la russa Rossa di Sera ha tentato un abbinamento regionale con le Tagliatelle con tartufo nero e panna acida, Pane Burro e Marmellata ha realizzato dei succulenti Spaghetti alla chitarra con Patè di Palamita, Rosamarina piccante e Datterini confit, Acquolina ha creato un matrimonio tra Timorasso e Tagliatelle all'uovo con porcini freschi mentre Sonia nel Paese delle Stoviglie ha creato un’unione autunnale con degli ottimi sformatini di zucca.

Gamberi fritti alle mandorle e pepe
I gustosi sformatini di zucca
Tagliatelle con tartufo nero e panna acida
Gli spaghetti di Pane Burro e Marmellata
Tagliatelle all'uovo con porcini freschi
La bavarese di Fucina Culinaria

Non è finita qua!!

Amara Dolcezza ha creato ed abbinato i Blinis con panna acida, Tocco di Zenzero ha abbinato il Chiaror Sul Masso ai rigatini di farro con crema di topinambur, salsiccia, toma e pichin mentre Daniela Senza Panna c’ha mangiato dei fantastici tortelli cacio e pepe con salsa carbonara made in Antica Osteria L’Incannucciata.
Chiude la carrellata la Kitty' s kitchen con un happy hour a base di spiedini di pollo fritto all’americana.

Blinis con panna acida
Rigatini di farro con crema di topinambur, salsiccia, toma e pichin
Tortelli cacio e pepe con salsa carbonara
Spiedini di pollo fritto all’americana

Spero di non essermi dimenticato nessuno e...al prossimo tasting panel!!


La Borgogna di Armand Rousseau: Charmes-Chambertin 2005


Parli di Armand Rousseau e ti viene in mente subito la Borgogna, la terra dei balocchi per ogni iniziato al grande vino.
Parli di Armand Rousseau  e, per chi c’è stato, ti vengono in mente i suoi 14 ettari di vecchie viti di pinot nero di cui 2 a Village, 3,5 a Premier Cru e 8,5 di pura essenza Grand Cru.


Un’elevata densità di impianto (11.000 ceppi per ettaro), basse rese (siamo a 30-40 ettolitri per ettaro), nessun uso di fertilizzanti e una vinificazione tradizionale sono i presupposti essenziali di una produzione media di 65.000 bottiglie, piccole perle enologiche che ogni anno deliziano i palati di quei fortunati che possono permettersi di bere queste rosse emozioni borgognone.


Dei 30 ettari del vigneto Charmes-Chambertin, il più grande di Gevrey, il Domaine possiede solo un piccolissimo fazzoletto di terra di circa un ettaro e mezzo che ogni anno, per quella combinazione alchemica chiamata Terroir, dà vita a piccoli capolavori enologici, uno dei quali è arrivato su una tavola di Roma e regolarmente stappato.


Bere oggi un 2005, annata considerata “mitica” dagli esperti di Borgogna, potrebbe essere un’arma a doppio taglio perché potrebbe presentarsi l’incognita di aprire bottiglie che, nella loro fase di vita, sono in netta chiusura per poi tornare ad esprimersi ad alti livelli solo tra qualche anno, magari decenni.


Corriamo il (presunto) rischio e con grande gioia ogni paura viene spazzata via: il vino ha un naso profondo dove giocano intense sensazioni di frutta rossa, scorza di arancia, violetta, liquirizia, muschio e un lieve eco vegetale.

Al palato c’è tanta materia, grande profondità e, soprattutto, una purezza davvero emozionante. Non so come spiegarlo ma è come se un equalizzatore abbia filtrato tutti i segnali organolettici per compensare eventuali disuniformità e regalare al degustatore solo sensazioni nitide e sulla stessa lunghezza d’onda.

Bottiglia da 150 euro con cui si capisce decisamente perché Dio ha voluto il Pinot Nero.

Oggi si beve lo Svejo 2009 di Italo Cescon


Con i vini di Italo Cescon mi sono incontrato durante una ricerca sui “social wine” ovvero vini con finalità sociali che, nel caso di Cescon, hanno la retroetichetta scritta in braille. Grazie alla collaborazione del Sig. Mario Girardi, Vicepresidente della Sezione di Treviso dell'Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, le retroetichette dei Cru aziendali, Svejo, Mejo Chieto e Rabià, potranno essere lette con altri occhi dagli appasssionati di bacco per permettere anche a loro di comprendere le caratteristiche principali del vino che stanno bevendo.

 

Siamo tutti uguali a questo mondo, anche quando beviamo un bicchiere di Raboso!

Incuriosito da questa notizia ho deciso di saperne di più della famiglia Cescon e dei loro vini scoprendo, in tale ambito, un’azienda agricola famigliare che da oltre cinquanta anni opera nel Piave.
Nel 1954, infatti, Italo Cescon scelse di seguire le orme del nonno Domenico che già produceva Raboso Doc Piave dando vita ad una piccola cantina, l’Enoteca Italo Cescon, da subito distintasi nella zona per la vendita di vino esclusivamente in bottiglia, specie per le osterie ed i ristoranti, vestendola da subito con un’immagine unica e ancor oggi quanto mai attuale: l’etichetta in carta paglia scritta interamente a mano e l’inconfondibile Tralcetto.


Oggi, che il patron fondatore non c’è più, l’azienda, divisa in sei tenute, è condotta dai figli Gloria, Graziella e Domenico che, con un giusto mix di tradizione ed innovazione, stanno dando nuovo impulso a due vitigni autoctoni della Doc Piave: il Raboso e l’Incrocio Manzoni 6.0 13 o Manzoni Bianco, oggi nuova D.O.C.G.

Negli ultimi tempi ho bevuto più volte lo Svejo 2009, 100% Manzoni Bianco che, inizialmente, aveva destato la mia curiosità più per la retroetichetta in braille che per la sua popolarità mediatica.
Posso dirlo? Che bello questo vino il quale, pur non raggiungendo vette estreme di complessità e finezza, ha allietato, senza mai deludere, parte delle mie serate estive.
Ha un profumo intenso e al naso si apre con una netta nota fruttata di pesca bianca che col passare del tempo vira verso sensazioni più mature e a tratti tropicali. Il quadro aromatico si completa con tanti fiori bianchi e una lieve nota minerale.
In bocca l’equilibrio è dato da un sottile gioco di morbidezza e freschezza che, unite ad intensità e persistenza, fanno di questo Svejo 2009 un ottimo compagno di bevute.

 
Che volete di più da un “social wine”?

P.S.: abbinato con l’asparago bianco di Cimadolmo IGP dicono sia il massimo…

Lo Champagne più vecchio del mondo è stato bevuto!


La notizia è di ieri, due delle bottiglie di champagne più vecchie al mondo, ritrovate lo scorso luglio dopo aver trascorso secoli all'interno di un relitto nel Mar Baltico, sono state stappate due giorni fa ad Aaland in Finlandia, davanti a un centinaio di amatori e giornalisti con il bicchiere in mano.
I due preziosi champagne, aperti oggi, un Veuve Clicquot e un Juglar, dal nome della casa "châlonnaise" ormai scomparsa, fanno parte di uno carico di  bottiglie, probabilmente inviato dal re di Francia Luigi XVI alla corte imperiale di Russia, ma mai giunto a destinazione. L'apertura di due bottiglie è stata organizzata dalle autorità dell'arcipelago autonomo finlandese di Aaland.

Bottiglie sommerse
Lo champagne, una volta versato nei bicchieri, si e' presentato con un aroma piu' pungente di quelli di qualsiasi prodotto moderno. ''Le bottiglie in fondo al mare si conservano meglio che in qualsiasi cantina'', ha detto ai giornalisti uno dei piu' famosi esperti mondiali di champagne, Richard Juhlin, che ha descritto il Juglar come ''piu' intenso e potente'', mentre il Veuve-Clicquot e' stato paragonato allo Chardonnay, con sfumature di ''fiori di tiglio e scorze di lime''.

Lo champagne all'esame olfattivo
I rappresentanti della Veuve-Cliquot hanno collaborato on gli storici per datare lo champagne, che risale alla meta' del diciannovesimo secolo. Nella nave affondata sono state ritrovate in tutto 168 bottiglie e le autorita' della piccola provincia di Aaland puntano ad attirare turisti e appassionati, che potranno acquistare all'asta il resto del tesoro sommerso. Secondo Juhlin, ogni bottiglia potrebbe valere circa 100 mila euro.

Il tappo
Fonte: Asca