Un caos chiamato Doc Bolgheri


Non ne ero a conoscenza per cui ringrazio Antonio Valentini dell'Espresso Food&Wine per questo interessante articolo che fa luce su una diatriba per nulla semplice attorno alla Doc Bolgheri.

Valentini nel suo pezzo scrive che Ronn Wiegand, uno tra i più famosi master wine degli Stati Uniti, non riusciva a capacitarsi di come il Masseto non possa fregiarsi del marchio Doc di Bolgheri. «Siete pazzi», ha chiosato quando gli hanno spiegato che il super rosso di casa Ornellaia è escluso dal disciplinare in quanto merlot in purezza. Una logica che, in Francia, impedirebbe a Chateau Petrus di fregiarsi dell’appellativo di “Bordeaux”.

Un controsenso non circoscritto al Masseto, visto che accomuna anche Paleo, Cavaliere e Messorio, rossi che hanno fatto la storia vinicola di Bolgheri benché non rispondenti al marchio Doc.
Ma sulla loro inclusione, sull’ammissione dei monovitigni nel disciplinare - i precetti che governano la Doc -, i produttori sono divisi, rompendo la tradizionale coesione dell’Eden enologico toscano, dove su 1140 ettari vitati operano 48 aziende. Da una parte gli “storici”, favorevoli alla revisione delle regole; dall’a ltra un folto drappello di néofiti, non senza ruvidezza definiti “ dissidenti”. «Poteva essere un’ottima occasione di confronto - ha spiegato il dissenziente Giorgio Meletti Cavallari -, di fatto è uno scontro». Michele Satta, tra i sostenitori della modifica, rilancia: «L’opposizione è lecita, ma all’audizione di qualche settimana fa si sono presentati con l’avvocato, esacerbando i punti di vista».

Michele Satta
Nella singolare contesa bolgherese, i veterani spingono al cambiamento, i nuovi a conservare la tradizione. Una matassa maledettamente intricata per il Comitato nazionale vini, che il prossimo 16 dicembre dovrà decidere in via definitiva, tenendo conto non solo del dato numerico (di sicuro favorevole ai revisionisti) ma anche delle peculiarità del Bolgherese. Il territorio è baciato da Bacco e regala grandissimi rossi plurivarietali, eleganti e dai tannini docili, ma anche monovitigni di rinomanza planetaria. E allora, si chiedono i fautori della modifica, perché non codificare sotto al marchio Doc questo giacimento enologico? Perché, replicano gli oppositori, il Sassicaia è la quintessenza dell’identità territoriale: uno tra i migliori vini al mondo in assoluto, poliuvaggio bordolese ma non monovitigno. Quello è il modello al quale uniformarsi, l’autentico marchio del territorio. 


Valentini scrive che la contesa bolgherese si è fatta estenuante. Anche se tutti provano a minimizzare, la tensione si taglia a fette. Al punto che da Roma è stata avanzata una proposta di mediazione, benedetta Niccolò Incisa della Rocchetta, preoccupato anche di salvaguardare l’immagine dell’Eden enologico toscano. Il presidente del Consorzio, patron del Sassicaia, ha definito ragionevole l’idea di dosare tra una quota minima e massima le percentuali di alcuni vitigni bordolesi. L’escamotage tecnico non pare in grado di riportare serenità a Bolgheri, dove da quattro anni si discute della modifica del disciplinare.

Ma in realtà, ogni classificazione è pretestuosa ed è gratuito distinguere tra grandi o piccoli, veterani o neofiti, tradizionalisti o innovatori. La differenza che emerge, se in caso, è tra filosofie vinicole diverse, tra chi ritiene che l’identità del territorio sia un dato di fatto e chi pensa che essa debba ancora solidificarsi, obiettivo perseguibile nel tempo mixando con sapienza sicurezza e innovazione.

Sullo sfondo c’è la recessione globale, che ha contratto i consumi e cambiato le dinamiche dei mercati. Il Nuovo Mondo ha conquistato larghe fasce di clienti della grande distribuzione, saldando prezzi bassi e qualità standard. La massificazione dei consumi non ha toccato i grandi produttori bolgheresi, alcuni dei quali abituati a vendere solo per diritto di assegnazione ai clienti consueti, ristretto novero a cui l’accesso è garantito solo dopo una lunga attesa. Il timore, se in caso, deriva da questo: i grandi guardano ai mercati esteri, i piccoli a quelli locali.

 
Viale dei Cipressi, Bolgheri
Ma con l’ammissione dei monovitigni sotto l’ombrello della Doc, chi vieterebbe ai vigneron griffati di tentare l’assalto a enoteche, ristoranti e supermercati della Toscana con il marchio Bolgheri? Un nodo che il Comitato nazionale vini dovrà sciogliere il 16 dicembre. Dopo, qualunque sia la decisione, toccherà al Consorzio bolgherese tenere unito quel formidabile gruppo di viticoltori che in pochi anni si è imposto all’attenzione del mondo.

Ho scritto una mail al Consorzio per cercare di capirne di più personalmente. Chissà se mi risponderanno...

3 commenti:

/Alessandro ha detto...

Interessante grazie, non ne ero a conoscenza. Il mio punto di vista? tanta politica e interessi di parte che spesso mortificano chi ha voglia di fare e risultano del tutto incomprensibili a chi ci guarda da fuori.

Davide Bonucci ha detto...

Dopo un periodo in cui ho guardato con grande rispetto a Bolgheri, adesso direi che il quadro mi sta molto annoiando. E questa diatriba tutta interna alla logica del quattrino me li fa definitivamente risultare antipatici. Hanno avuto il massimo, in questi anni. Adesso qualunque passo può solo essere un modo per scendere dal piedistallo, complice un mercato che sta cambiando radicalmente. Credo che ne abbiano bisogno, un po' di bagno di umiltà fa bene a tutti...

Andrea Petrini ha detto...

Io penso che, con le dovute eccezioni, un pò tutti i disciplinari italiani pensino più al guadagno che alla qualità. Vedi alla voce Cirò