Buon 2011 con Percorsi Di Vino


Ognuno di noi oggi si meriterebbe di bere questo:


A tutti i lettori del blog, lo staff di Percorsi Di Vino, cioè io e Stefy :-)), vi augura un 

FELICE 2011




Botti di fine anno: Ka Mancinè e il Rossese di Dolceacqua


Si ritorna alle origini, al nome del mio blog, a quel percorso che dovrebbe condurre tutti, io e i miei pochi lettori, a raggiungere la serenità edonistica che ci può fornire una buona bottiglia di vino, non un prodotto qualunque, ma il figlio della Terra e del Sudore. 

Per fine anno voglio regarvi una chicca.

Vi racconto un rosato, una tipologia poco capita che, stagionalmente, riscuote un certo successo solo in estate per via della moda del momento.
Oggi vi porto in Liguria, a Soldano (IM), all’interno della piccolissima azienda Ka Mancinè dove Maurizio Anfosso, ex rappresentante, ha realizzato il sogno della sua vita: creare il suo Rossese di Dolceacqua ridando vigore alle vigne storiche di proprietà (alcune dei primi del '900 coltivate ad alberello) site all’interno della zona “Galeae” (Galera in dialetto ligure), cioè nel luogo dove storicamente venivano portati e fatti lavorare i prigionieri saraceni catturati durante le battaglie d'Almeria (1147) e Tortosa (1148).


Maurizio Anfosso è un tutt’uno con Ka Mancinè, vigna e cantina vengono gestite personalmente col solo aiuto dei propri parenti durante la vendemmia.
Pochissime le bottiglie prodotte. Nel 2006, il suo “anno zero”, il suo vino, realizzato in 1.500 unità, ha subito conquistato premi e critica ed oggi, a quasi cinque anni, trovare una sua bottiglia è davvero difficile, tutta la sua produzione è contingentata e, ovviamente, venduta tutta “en primeur”.

Maurizio Anfosso e...famiglia
Lo Sciakk 2009, VdT rosato, è il risultato di una cura e di una gestione maniacale sia del vigneto (resa 30 q/ha) sia della vinificazione (in bianco con lieviti autoctoni per 20 giorni) del Rossese che nel bicchiere si esprime, per la tipologia, ai massimi livelli.
Se guardi dove sono posizionate le vigne capisci subito che hai di fronte un vino mediterraneo, la frutta rossa croccante dopo un veemente inizio lascia il posto alla macchia mediterranea, il naso ci conduce in un sentiero dove mirto, ginepro, alloro, corbezzolo e lentisco rappresentano sensazioni che catturano la mente e l’anima.
Bevo lo Sciakk, una, due, tre volte, non smetto di poggiare le labbra sul bicchiere, la freschezza del sorso e il fine equilibrio mi trascinano in un vortice color rosa che faccio fatica a contenere.


L’unico rammarico? Aver saputo che Maurizio abbia prodotto nel 2009 solo 733 bottiglie (!!). 
Io per il 2011 ho già fatto la mia prenotazione. L’ultimo che arriva chiude la porta.

Il vigneto
Il vigneto

Le foto sono tratte da www.vinoalvino.org e www.sole-liguria.com

Rosso del Soprano 2005 - Azienda Agricola Palari di Salvatore Geraci


Quando l’ho conosciuto lo scorso anno al Vinitaly, insieme a Simona Fino ed Elena Fucci, era l’unico del nostro tavolo ad avere lo sguardo perso nel vuoto, i suoi occhi tradivano una mente che stava vagando altrove, forse era tornato nella sua villa a Palari, forse stava pensando al prossimo restauro.
Salvatore Geraci, verso la fine degli anni ’80 era conosciuto a Messina e dintorni per la sua bravura come architetto e per la sua passione politica (fu assessore provinciale alla Cultura e al Turismo) e sono sicuro che se gli avessero predetto un futuro da vignaiolo di successo si sarebbe fatto di certo una risata sebbene fosse cresciuto a pane arrostito imbevuto col vino di famiglia.

Salvatore Geraci
Di quei tempi, però, avere un’amicizia con Gino Veronelli era “rischioso” perché fu proprio il Maestro, parlandogli della doc Faro, a quei tempi ormai quasi dimenticata, a suggerirgli di farla rivivere.
Geraci ci pensò su solo un attimo, solo il tempo di considerare le vigne di famiglia e Veronelli gli presentò Donato Lanati.

«Veronelli mi mise in contatto con Donato Lanati, enologo piemontese. Era a Pantelleria e lo convinsi a fermarsi da me qualche giorno, prima del rientro. Si arrampicò su per le vigne, prese dei campioni di terra da analizzare, si guardò intorno. Penso che lì, proprio nella vigna, grazie alla bellezza del posto, i suoi dubbi si siano piano piano andati dissolvendo. Ma su un punto Lanati era fermo: quello di fare un grande vino. Da 4 ettari, disse, o si fa un grande vino o non si fa niente. E d’altronde anch’io non avevo nemmeno per un attimo considerato l’idea di fare un vino tanto per fare. Certo dire adesso che mi aspettavo che sarebbe andata come è andata...».

La scommessa era iniziata anche se c’era un “piccolo” problema ancora da risolvere: la cantina. L’impellente necessità fa trasformare la settecentesca villa di famiglia, Villa Geraci, in un luogo dove le vasche di fermentazione, le barrique francesi e i magazzini di stoccaggio prendono il posto dei mobili di antiquariato e delle tante stanze da letto per gli ospiti.

La Cantina
La pazzia e il business fanno sì che nel giro di un anno il vitigno di Santo Stefano Briga comincio a produrre le prime bottiglie di Faro Palari. Era il 1990, l’inizio della nuova era per la Doc Faro.
Questo Natale ho voluto stappare il secondo vino di Geraci, il Rosso del Soprano (nerello, mascalese, nocera, cappuccio, galatea) che, vivendo all’ombra della fama del Faro Palari, dal mio punto di vista è ingiustamente poco conosciuto ed apprezzato. 


Ho aperto l’annata 2005 con molto timore, sei anni sulle spalle possono essere tanti per molti grandi vini, figuriamoci per il “vino base”di un’azienda anche se blasonata come questa. La sorpresa è ritrovarsi nel bicchiere un vino maturo e dalla grande bevibilità, un rosso tutt’altro che stanco caratterizzato da sensazioni di frutta di rovo, spezie nere e rosa selvatica.
Al palato rivela struttura, morbidezza e un lieve finale balsamico che, speranzoso, cerca di farti dimenticare dei parenti di là in salotto che si stanno sgargarozzando un Ronco da paura.
Unico neo? Il prezzo, se fosse leggermente minore (siamo mediamente sulle 15 euro in enoteca) renderebbe più popolare questo vino.

Foto: Arte Gastronomica e sito aziendale

Chiude E-blogs, la rivista europea dei blog di Wikio


Purtroppo mi sto sempre più rendendo conto che, di questi tempi, le idee più interessanti spesso devono essere messi da parte per mancanza di fondi o interesse. Uno di questi progetti era E-Blogs, la rivista europea dei blogger che Wikio stava portando avanti con coraggio da qualche mese.


E-blogs si prefissava di mostrare “il meglio” della blogosfera europea selezionando post di qualità in 5 Paesi e 5 lingue: Italiano, Tedesco, Spagnolo, Inglese, Francese,  per farli poi tradurre nelle stesse 5 lingue. L’idea originale era quella di offrire uno sguardo inedito e quotidiano degli europei, una sorta di “corriere internazionale” dei blog dove dare risalto alle arrabbiature, ai sogni e ai desideri dei ragazzi euopei.
Anche Percorsi Di Vino era stato scelto come blog ufficiale della rivista visto che molti articoli apparsi sul mio sito sono stati tradotti egregiamente in cinque lingue.
Perchè tutto questo finisce? Selezionare contenuti, adattarli per ogni Paese, farli tradurre dai traduttori remunerati e infine diffonderli in 5 lingue su 5 Paesi… Tutto ciò costa denaro. Molto denaro. 
E-Blogs non haincontrato l’eco, l’audience che Wikio si aspettava. Una sfida persa per mancanza di visitatori e quindi di potenziale pubblicitario per remunerare questo lavoro che contava una squadra di 40 traduttori professionisti.

La redazione
Siamo in un’economia di mercato e Wikio è una società privata. Chi paga tutto questo?
Ringrazio tutti i ragazzi che hanno creduto in questo progetto e dico loro di buttarsi nel gossip, sicuramente là ci sono tante persone che leggono. Siamo o non siamo nell'era del Grande Fratello?


Champagne d'autore per capodanno?


I designer sono gente strana e, se si mettono in testa di abbinare il loro estro al mondo del vino, il risultato può essere travolgente.
La brand agency THEY questo Natale ha commissionato a due collettivi e/o studi di designer olandesi, La Bolleur e Tjep, l’idea personalizzare lo Champagne Zarb con un segno distintivo quanto più originale ed ironico.
Il risultato sono una declinazione di possibili applicazioni immaginate per rendere il momento del brindisi ancora più performativo: un vero e proprio show. Che si tratti di una macchina fotografica incorportata nel tappo (o magari di un tappo con la punta di una freccetta!), o anche solo di una veste accattivante. 
Le bottiglie resteranno in mostra nel temporary shop di THEY (ad Amsterdam, nel distretto di Nine-Streets) fino all’inizio di gennaio. 

Ecco le foto:















Ecco dove sono esposte le bottiglie:


E a voi quale piace?


Fonte: Designer Blog via  Dezeen

La retorica di Natale tra spumante e champagne!



Ogni Natale, ogni fine anno sempre le stesse parole, la stessa retorica.

" Non e' vero che lo Champagne scorre come un fiume in piena ".

" Non e' vero anche perche' da noi e nel resto del mondo ad averla vinta e' lo Spumante italiano ".

" E' a Natale, e' a Capodanno che chiunque puo' capire cosa contano l'agricoltura italiana, l'agroalimentare italiano, in particolare il vino italiano ".

" Il nostro Spumante vince la sua corsa contro lo Champagne. Siamo primi nelle bollicine e, se ci fosse piu' sostegno da parte di Parlamento e Governo, probabilmente anche il Pil andrebbe meglio. Comunque, senza ironia alcuna, ironia che non avrebbe senso, l'agricoltura italiana fa gli auguri al Ministro Tremonti e a ogni cittadino che vive in un Paese dove dalle mie parti si vendono tra Prosecco Docg di Valdobbiadene Conegliano e Prosecco Doc, cioe' il Prosecco Nordestino, piu' di 150 milioni di bottiglie. Auguri e grazie a tutti i nostri produttori di Spumante, dall'Alto Adige e Trentino alla Lombardia, al Piemonte, al Veneto e al Friuli Venezia Giulia ".

Caro Galan, sicuramente i produttori delle Regioni sopracitate ti faranno gli auguri ma, da buon Ministro, perchè dimenticare chi fa una grande spumante nelle altre parti di Italia? Sai che esiste in Puglia un grande spumantista come D'Araprì? Sai che esiste Mottura nel Lazio che fa un grande spumante metodo classico??

E poi, due palle con sta sfida spumante contro champagne!!!

Evvia la retorica!!

I Sommelier del cibo?


Due giorni fa su Repubblica è uscito questo articolo che, come un pò tutte le ricerche scientifiche un pò futili, fa un pò ridere visto il tema trattato.

Sembra, infatti, che le persone in sovrappeso abbiano un naso sopraffino anche se la loro ipersensibilità alle fragranze pare sia confinata solo agli odori del cibo e non a tutti gli altri aromi. Lo sostiene una ricerca dell'università di Portsmouth, in Inghilterra, condotta su 64 volontari. 

TEST - Ai partecipanti sono stati fatti annusare due diversi odori, uno di cibo e l'altro no. Entrambi gli aromi sono stati diluiti in acqua per essere presenti in concentrazioni man mano inferiori e capire così quando l'odore non veniva più avvertito dai volontari. I test sono stati eseguiti quando i soggetti avevano fame e anche dopo mangiato, per verificare se la sazietà potesse interferire con l'olfatto. Primo risultato, l'odore non relativo al cibo viene percepito meglio da affamati. E, paradossalmente, è vero l'opposto con il profumo di cibo: i volontari lo percepivano meglio da sazi che prima di pranzo. «Questa è stata la prima sorpresa: dal punto di vista evoluzionistico, verrebbe da dire che è più opportuno essere maggiormente sensibili al cibo prima del pasto», nota il coordinatore della ricerca, Lorenzo Stafford del Dipartimento di Psicologia dell'università inglese. 


SOVRAPPESO - Perché mai allora dovremmo essere più sensibili agli odori del cibo dopo aver mangiato? «Forse perché così siamo più capaci di riconoscere e rifiutare gli alimenti quando non sono più necessari - ipotizza Stafford -. Del resto l'olfatto influenza il senso del gusto: questi dati sembrano indicare che l'odorato abbia un ruolo nei processi di segnalazione dell'appetito e della sazietà. E non a caso c'è chi ha provato a mettere a punto metodi per potenziare o ridurre l'olfatto per aiutare chi vuole perdere peso». 
Già, ma proprio chi è sovrappeso sembra più sensibile al cibo: la seconda sorpresa infatti è arrivata quando sono stati messi a confronto gli indici di massa corporea dei partecipanti con le loro capacità di discernere gli odori. Chi era sovrappeso è risultato più sensibile agli odori di cibo, molto poco a quelli non relativi agli alimenti. In altri termini, se una persona con qualche chilo di troppo entra in una pasticceria dopo pranzo viene sopraffatta dai profumi, si ritrova l'acquolina in bocca e difficilmente resiste dall'addentare un pasticcino. «L'acuito senso dell'olfatto di chi è sovrappeso potrebbe effettivamente incoraggiare a mangiare di più, anche quando si è sazi, facilitando l'accumulo di peso», osserva Stafford. Che però sottolinea come i suoi dati siano preliminari e su troppo pochi soggetti per poter essere conclusivi; per di più, i test sono stati fatti con un solo tipo di odore, per cui i risultati potrebbero essere diversi con altri. Si vedrà; nel frattempo, meglio non andare dal fornaio o in pasticceria dopo pranzo, se non vogliamo vanificare gli sforzi per stare a dieta.


Dalla serie i pancioni non potranno essere mai buoni sommelier del vino? E chi glielo dice a Cernilli?

Tutte le stranezze delle etichette del vino - parte terza


Un regalo di Natale per i lettori di Percorsi di Vino e, forse, per lo staff di Wikio al quale tanto piace la rubrica sulle etichette del vino più orrende del mondo.

Ecco una rapida e terza carrellatta di quello che non vorremmo mai vedere su una bottiglia:

Forever Amber  

Questo è un vino Sudafricano e l'etichetta mostra una donna che, a mio parere, a un sex appeal pari ad un cartoccio di alici fritte. L'etichetta è stata dipinta da George Paul Canitz, un artista degli anni '20 che pare si sia ispirato nel nome ad un famoso libro del tempo. Il vino è una sorta di moscato fortificato. Dalla serie bere per dimenticare l'etichetta...

Mad Housewife
Mad Housewife Cellars
C'erano una volta le Casalinghe Disperate, oggi invece abbiamo le Casalinghe Pazze che si mettono in testa di bere dello Chardonnay californiano del 2004 al sapore di Ikea, cioè legno..... Forse la pazzia è berlo?

Sogno uno
Savanna Wines
Ecco, forse questa è un'etichetta sexy e non poteva essere altro visto che il vino, 70% Cesanese, 20% Sangiovese e 10% Montepulciano, è il "famoso" Sogno Uno prodotto dalla porno star Savanna Samson, un vino dicono ormai introvabile che ha ricevuto attenzioni, ben 91 punti, da quell'allupato di Robert Parker. Ah, volete sapere com'è Savanna Samson? Eccola!

Savanna Samson
Ed infine....

Tiny Bubbles
Harper Hill
Mamma mia, dopo il vino della porno star arriva il vino della Buzzicona. La cantina produttrice è sempre l'americana Harper Hill's Oildale Winer che ci ha deliziato in passato gli occhi e (non) il palato con il White Trash White.   
Oggi la gamma dei vini di questa imbarazzante cantina si amplia con queste bollicine a base di Syrah e Zinfandel particolarmente consigliato per le feste perchè:"You can't have a party without Tiny Bubbles". Terribbile!!!!!!

Oggi a Roma si parla di "Vino e Giovani"


Un veicolo ricco di storia e cultura capace di oltrepassare i confini e raccontare in un sorso il  territorio di origine, le tradizioni e le persone che stanno dietro alla sua bottiglia: vino vuol dire identità culturale per i giovani italiani, che grazie ad un bicchiere e al suo essere strumento di convivialità per sua stessa natura, stringono amicizie con i propri compagni, con cui condividono la stessa passione e curiosità per il mondo dell'enologia, e scoprono nuovi territori di altri Paesi.

A dare appuntamento ai più giovani è Enoteca Italiana, domani, martedì 21 dicembre, alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che ospiterà “Vino e Giovani”, la campagna di educazione alimentare e comunicazione ad hoc per le nuove generazioni di Enoteca Italiana e Ministero delle Politiche Agricole, in partnership con il progetto europeo “WineInModeration. Art de vivre”: un'intera giornata per incontrare e confrontarsi con i più giovani, di cui l’attore Beppe Fiorello sarà il testimonial (info: www.vinoegiovani.it).

Tra le personalità del mondo vino, della cultura, della politica e dell'università e della ricerca che incontreranno i giovani all'Università di Roma nel talk show “Il vino: giovani a confronto su idee e valori” - in collaborazione con Assessorato alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio e Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - insieme al presidente di Enoteca Italiana Claudio Galletti, ci saranno, tra gli altri, Michele Bagella, preside della Facoltà di Economia dell’Università “Tor Vergata”, Paola Paniccia, direttore Master Economia e Management delle Attività Turistiche e Culturali della Facoltà di Economia dell’Università “Tor Vergata”, Adriano Rasi Caldogno, capo Dipartimento Politiche Competitive del Mondo Rurale e della Qualità del Ministero delle Politiche Agricole, Angela Birindelli, assessore alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio, Rosa Bianco Finocchiaro, coordinatrice del Programma “Cultura che nutre”, e Omar Calabrese, docente di Semiotica delle Arti Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Siena, insieme al vice-direttore del Tg1 Susanna Petruni in veste di animatrice-moderatrice.


Nell'appuntamento di “Vino e Giovani” a Roma, saranno inoltre svelati i lavori - miglior slogan, immagine, immagine con slogan e spot - vincitori dell'edizione n. 2 di “PerBacco”, il concorso di idee per dare un nuovo volto alla comunicazione del vino, dedicato ai ragazzi tra i 18 e 30 anni di età, promosso da Enoteca Italiana e Movimento Turismo del Vino. Spazio poi a vere e proprie “lezioni” di degustazione dedicate ai ragazzi: una guidata, “Alla scoperta del vino”, in collaborazione con l’Agivi-Associazione Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani sezione Lazio, ed una libera con le etichette del Lazio, promossa con l’Assessorato alle Politiche Agricole e Valorizzazione dei Prodotti Locali della Regione Lazio ed il Movimento Turismo del Vino del Lazio.

Fonte: Sienafree.it

Il caviale come regalo di Natale...


Difficilissimo, perché costa un occhio della testa, ma se per le Feste vi dovessero regalare del vero caviale, cosa ci berreste? La risposta non è così scontata, anzi vi anticipo da subito che le bollicine non ci stanno molto bene.

Ma, anzitutto, cos’è il caviale e come servirlo a tavola? 

Il caviale è un alimento che si ottiene attraverso la lavorazione e la salatura delle uova di diverse specie di storione, il più grande pesce d'acqua dolce e salmastra diffuso in Europa.


Sebbene esistano circa una trentina di specie di storioni ed il caviale sia stato prodotto a partire da uova estratte da molte specie diverse e in varie zone del mondo, tre tipologie di caviale sono maggiormente note in quanto sono state costantemente presenti nei mercati internazionali. Esse infatti fanno riferimento a storioni che vivono principalmente nell’area più produttiva del mondo, quella del Caspio e vengono quindi pescati in Azerbaijan, Iran, Russia, Kazakistan e Turkmenistan:

Beluga (Huso huso): è la qualità più conosciuta e pregiata: si distingue per uova particolarmente grandi (fino a 3 mm di diametro) e grigiastre. Generalmente viene commercializzato in una confezione blu ed il suo costo è superiore rispetto alle altre qualità di caviale.


Asetra o Osetra (Acipenser gueldenstaedtii colchicus): proveniente dalla Russia e dall'Iran, ha uova grigie ed un sapore che ricorda vagamente quello delle noci. Generalmente viene commercializzato in una confezione gialla. Da molti viene considerato il caviale più raffinato.

Sevruga (Acipenser stellatus): è un caviale dal sapore deciso con aroma delicato; le uova sono piccole (1 mm circa di diametro) e grigie. Generalmente viene commercializzato in una confezione rossa. Lo storione Sevruga è piccolo rispetto alle altre varietà e si riproduce più velocemente; per questo motivo viene commercializzato ad un prezzo inferiore ed è più facile da reperire.

In genere la qualità del caviale è tanto maggiore quanto più le uova sono chiare. In base a questo criterio viene classificato in una scala di prestigio che comprende tre livelli. Il primo, chiamato 0, viene generalmente attribuito alle uova dal colore più scuro, le sigle 00 e 000 vengono invece assegnate, rispettivamente, ai caviali di tonalità media e chiara.
Oltre al colore è importante valutare altre caratteristiche come uniformità per dimensione e consistenza delle uova, profumo, percentuale in sale, ecc. La migliore qualità spetta al cosiddetto "royal caviar", una varietà di Osetra che vanta caratteristiche organolettiche particolarmente apprezzate.
Il caviale va servito fresco ma non freddo, poiché potrebbe essere compromesso lo sviluppo dell'aroma.
La confezione stessa - o una ciotola di cristallo - deve essere adagiata su un letto di ghiaccio tritato. Fate attenzione a non danneggiare le preziose uova nel travasarle nel recipiente di servizio e soprattutto non utilizzate mai cucchiaini di metallo: esistono in commercio apposite spatoline in vetro, madreperla, porcellana o corno. 


Per quanto concerne l’abbinamento, preferisco non accompagnare il caviale con le bollicine, soprattutto se parliamo di Champagne e Spumanti giovani, perché trovo che l’imponente nota salmastra del caviale associata a certe durezze del vino, sapidità in primis, generi un connubio di sapori forti che si esalteranno a vicenda creando un matrimonio non certo di rara eleganza gustativa. Soggettivo, ovviamente.
Per me meglio andare su un vino molto morbido, per cui se dovessi abbinare lusso con lusso la mia scelta cadrebbe su uno Chateau d’Yquem 1967, annata splendida per un vino infinito, come la persistenza del Beluga. 


Se non volete spendere un occhio della testa per il vino, proporrei di abbinare il caviale ad un più semplice Oppidum Moscato di Terracina Secco di Cantina S. Andrea, già abbinato egregiamente lo scorso anno ad EAT-ALIA con le ostriche. Le sue note di frutta esotica matura e la sua carica mediterranea dovrebbero contrastare la strapotenza del caviale che, è bene ricordarlo, i russi abbinano ad una “semplice” vodka ghiacciata. Potere dell’alcol che stronca tutto!



Fonte: Wikipedia

Un caos chiamato Doc Bolgheri


Non ne ero a conoscenza per cui ringrazio Antonio Valentini dell'Espresso Food&Wine per questo interessante articolo che fa luce su una diatriba per nulla semplice attorno alla Doc Bolgheri.

Valentini nel suo pezzo scrive che Ronn Wiegand, uno tra i più famosi master wine degli Stati Uniti, non riusciva a capacitarsi di come il Masseto non possa fregiarsi del marchio Doc di Bolgheri. «Siete pazzi», ha chiosato quando gli hanno spiegato che il super rosso di casa Ornellaia è escluso dal disciplinare in quanto merlot in purezza. Una logica che, in Francia, impedirebbe a Chateau Petrus di fregiarsi dell’appellativo di “Bordeaux”.

Un controsenso non circoscritto al Masseto, visto che accomuna anche Paleo, Cavaliere e Messorio, rossi che hanno fatto la storia vinicola di Bolgheri benché non rispondenti al marchio Doc.
Ma sulla loro inclusione, sull’ammissione dei monovitigni nel disciplinare - i precetti che governano la Doc -, i produttori sono divisi, rompendo la tradizionale coesione dell’Eden enologico toscano, dove su 1140 ettari vitati operano 48 aziende. Da una parte gli “storici”, favorevoli alla revisione delle regole; dall’a ltra un folto drappello di néofiti, non senza ruvidezza definiti “ dissidenti”. «Poteva essere un’ottima occasione di confronto - ha spiegato il dissenziente Giorgio Meletti Cavallari -, di fatto è uno scontro». Michele Satta, tra i sostenitori della modifica, rilancia: «L’opposizione è lecita, ma all’audizione di qualche settimana fa si sono presentati con l’avvocato, esacerbando i punti di vista».

Michele Satta
Nella singolare contesa bolgherese, i veterani spingono al cambiamento, i nuovi a conservare la tradizione. Una matassa maledettamente intricata per il Comitato nazionale vini, che il prossimo 16 dicembre dovrà decidere in via definitiva, tenendo conto non solo del dato numerico (di sicuro favorevole ai revisionisti) ma anche delle peculiarità del Bolgherese. Il territorio è baciato da Bacco e regala grandissimi rossi plurivarietali, eleganti e dai tannini docili, ma anche monovitigni di rinomanza planetaria. E allora, si chiedono i fautori della modifica, perché non codificare sotto al marchio Doc questo giacimento enologico? Perché, replicano gli oppositori, il Sassicaia è la quintessenza dell’identità territoriale: uno tra i migliori vini al mondo in assoluto, poliuvaggio bordolese ma non monovitigno. Quello è il modello al quale uniformarsi, l’autentico marchio del territorio. 


Valentini scrive che la contesa bolgherese si è fatta estenuante. Anche se tutti provano a minimizzare, la tensione si taglia a fette. Al punto che da Roma è stata avanzata una proposta di mediazione, benedetta Niccolò Incisa della Rocchetta, preoccupato anche di salvaguardare l’immagine dell’Eden enologico toscano. Il presidente del Consorzio, patron del Sassicaia, ha definito ragionevole l’idea di dosare tra una quota minima e massima le percentuali di alcuni vitigni bordolesi. L’escamotage tecnico non pare in grado di riportare serenità a Bolgheri, dove da quattro anni si discute della modifica del disciplinare.

Ma in realtà, ogni classificazione è pretestuosa ed è gratuito distinguere tra grandi o piccoli, veterani o neofiti, tradizionalisti o innovatori. La differenza che emerge, se in caso, è tra filosofie vinicole diverse, tra chi ritiene che l’identità del territorio sia un dato di fatto e chi pensa che essa debba ancora solidificarsi, obiettivo perseguibile nel tempo mixando con sapienza sicurezza e innovazione.

Sullo sfondo c’è la recessione globale, che ha contratto i consumi e cambiato le dinamiche dei mercati. Il Nuovo Mondo ha conquistato larghe fasce di clienti della grande distribuzione, saldando prezzi bassi e qualità standard. La massificazione dei consumi non ha toccato i grandi produttori bolgheresi, alcuni dei quali abituati a vendere solo per diritto di assegnazione ai clienti consueti, ristretto novero a cui l’accesso è garantito solo dopo una lunga attesa. Il timore, se in caso, deriva da questo: i grandi guardano ai mercati esteri, i piccoli a quelli locali.

 
Viale dei Cipressi, Bolgheri
Ma con l’ammissione dei monovitigni sotto l’ombrello della Doc, chi vieterebbe ai vigneron griffati di tentare l’assalto a enoteche, ristoranti e supermercati della Toscana con il marchio Bolgheri? Un nodo che il Comitato nazionale vini dovrà sciogliere il 16 dicembre. Dopo, qualunque sia la decisione, toccherà al Consorzio bolgherese tenere unito quel formidabile gruppo di viticoltori che in pochi anni si è imposto all’attenzione del mondo.

Ho scritto una mail al Consorzio per cercare di capirne di più personalmente. Chissà se mi risponderanno...

In Giappone si beve così!!


Dopo il precedente articolo che poneva particolare enfasi sul mercato del vino in Giappone, vi propongo oggi una carrellata delle principali bevande diffuse nel paese nipponico.  

Birra: è la principale bevanda alcolica giapponese. I principali produttori sono Asahi, Kirin, Suntory e Sapporo. Le procedure di birrificazione, come facile pensare, sono state importate dalla Germania durante il Periodo Meiji grazie ad un progetto di sviluppo creato nel Nord dell’Isola di Hokkaido.

Birra giapponese
Happoshu: letteralmente “alcol frizzante”, è conosciuta come la birra a basso contenuto di malto ed è un’invezione recente dell’industria giapponese. Ha lo stesso sapore ed alcol di una birra normale ma la bevanda contiene meno malto e, pertanto, un approccio più light. La “birra” costa anche di meno visto che la minore presenza di malto è tassata diversamente (in meno) dalle autorità fiscali giapponesi.

Third beer: conosciuta anche come “Shin Janru" o "New Genre”, questa birra è l’ultimo ritrovato dell’industria birraria del Giappone. Non avendo tra gli ingredienti di produzione il malto ma, bensì, piselli, soia, frumento, la Shin Janru è la “birra” più economica che si trova in commercio.

Tipica Third beer
Nihonshu o Sake: in giapponese, la parola "sake" designa in senso stretto una bevanda liquorosa ottenuta dalla fermentazione del riso. È anche chiamato Nihonshu (letteralmente, vino giapponese). Per estensione, col termine "sake" si intende qualsiasi bevanda alcolica. Questo doppio senso si spiega col fatto che, fino alla metà del XIX secolo, prima che il paese si aprisse ai prodotti occidentali, fu per la maggior parte dei Giapponesi l’unica bevanda alcolica conosciuta. Fu solo con la comparsa di diversi tipi di bevande come il vino, la birra o il whisky, che si fece innanzi la necessità di nominare il sake con un nome specifico.
Il Sake è una sorta di "birra di riso", visto che viene prodotto facendo fermentare del riso in acqua di fonte, dopo saccarificazione con l’aiuto di un fungo chiamato koji il cui nome scientifico è Aspergillus flavus var. oryzae. La qualità di un sake dipende da tre fattori chiave individuati dall’espressione waza-mizu-kome: waza (la competenza), mizu (la qualità dell’acqua), e kome (la qualità del riso e del grado di lucentezza).
Si contano circa una cinquantina di selezionate varietà di riso per produrre il sake. Fra i più prestigiosi si possono citare lo Yamada-nishiki (Provincia di Hyogo), l’Omachi (Province di Okayama e Hiroshima), il Gohyakuman-goku (Provincia di Niigata), e il Miyama-nishiki (Provincia di Nagano). Il riso è lucidato per liberarlo dal grasso e dall’albumina, in modo che rimanga solo il cuore del chicco, ricco di amido. Più la grana è lucida, più il residuo di seimaibuai sarà basso e più il sake sarà fine. Come per il vino in Francia, ogni regione ha il suo sake. I sake prodotti nella regione del Tohoku sono particolarmente rinomati. Si adduce generalmente il clima più freddo e la qualità dell’acqua per spiegare l’eccellenza delle diverse annate. Al contrario nel sud, le Province di Kyoto e Nada (Kobe), storicamente le prime ad aver sviluppato metodi di produzione moderni per la fornitura della corte imperiale e grandi santuari, mantengono oggi un’alta tradizione legata alla conoscenza e ad un sapere antichi. A livello locale è la presenza di sorgenti e la qualità dell’acqua che permettono di fare la differenza. L’acqua, inoltre, è anche oggetto di una legislazione specifica che riguarda la sua origine geografica e la sua purezza.

Produzione di sake
Shochu, Awamori: è un distillato contenente in media il 30% di alcol. Comunemente ha tra gli ingredienti di base il riso, le patate dolci, il lievito e/o la canna da zucchero. È di solito servito miscelato ad acqua e ghiaccio, succo di frutta e acqua tonica o tè oolong. L’Awamori è la versione del shochu di Okinawa. Differisce dall’originale in quanto è prodotto a partire da riso di stile tailandese anziché giapponese e utilizza la muffa nera Koji indigena di Okinawa.

Chuhai: sono bevande al gusto di frutta con un grado alcolico che varia tra il 5 e l’8 percento. I gusti classici includono il limone, la pesca, il lime, il pompelmo e il mandarino. Ultimamente sono stati prodotte bevande al gusto ananas, nashi, e pera invernale. Disponibili ovunque in lattina.

Umeshu: prodotto a partire dalla macerazione di prugne giapponesi all’interno di Shochu o Sihonshu. Molto dolce, fruttato, l’Umeshu è molto apprezzato da chi è non molto avvezzo all’alcol. Comunemente prodotto in casa, è facilmente reperibile ovunque siano vendute bevande alcoliche. Di solito è servito on the rocks, mescolato con soda, o come Sawa Umeshu (Umeshu acida).

Umeshu
Vino: rispetto all'articolo precedente posso aggiugere che non è stato molto apprezzato in passato per via della sua scarsa tradizione in terra nipponica, ma, ultimamente, sta guadagnando popolarità soprattutto tra le donne. Generalmente è importato dalla Francia, dall’Italia, dagli USA e dall’Australia anche se, poco alla volta, si sta sviluppando una fiorente industria domestica. I vini locali più famosi sono prodotti nella Prefettura di Yamanashi.

Altri distillati: il whisky è forse la bevanda occidentale più popolare in Giappone e spesso viene servito “on the rocks” o miscelato con acqua e ghiaccio. Bevande a base di Gin e vodka sono molto di moda nei bar, nei ristoranti e nei tipici Izakaya.

Yakitori restaurant (izakaya) in Ota