Concorso: La Nouvelle Vague del Lambrusco


Podere il Saliceto è il piccolo grande mondo di Gian Paolo e Marcello che, in poco meno di quattro ettari, riescono a dar vita a vini di grande personalità.
L’Albone, prodotto con uve lambrusco salamino e sorbara, è l’anima del loro territorio, una sfida ai luoghi comuni che Percorsi di Vino e Senza Panna vorrebbero farvi provare attraverso un goloso contest.


Di che si tratta? Semplice, ai primi venti food/wine blogger che aderiranno all’iniziativa verrà spedita una bottiglia di L’Albone che non aspetta altro di essere bevuta abbinandola ad una ricetta creata ad hoc per l’occasione.

Il miglior abbinamento, valutato da una giuria, verrà premiato con una cassetta da sei bottiglie di Argine, l’altro vino di Podere il Saliceto prodotto da uve selezionate di malbo gentile, merlot e sangiovese.

Per partecipare vi sono poche e semplici regole:
  • le candidature dovranno pervenire tramite mail a info@percorsidivino.com e saranno accettate in ordine temporale; 
  • i blogger dovranno creare un post sul loro sito che parli dell’iniziativa indicando e linkando correttamente Percorsi di Vino, Senza Panna e l’azienda Podere il Saliceto;
  • entro un mese dovranno dar vita alla ricetta di abbinamento con il lambrusco creando uno specifico post sul loro blog;
  • ovviamente si può partecipare anche mandando una semplice ricetta!.

Avanti, La Nouvelle Vague del Lambrusco è iniziata!

A Montalcino c'è chi dice NO


Il mio breve giro a Montalcino della scorsa settimana mi ha dato modo, ovviamente, di parlare del problema del cambio di disciplinare del Rosso con alcuni protagonisti della scena enologica ilcinese. 

Silvana Biasutti, Luciano Ciolfi e Marino Colleoni dicono NO al cambio di disciplinare! E non sono i soli.






Nino Barraco e la Sicilia naturale del vino


Volevo conoscere Antonino Barraco da molto tempo, la sua filosofia basata sulla ricerca delle antiche tradizioni vinicole del marsalese mi ha sempre affascinato, soprattutto se penso che Nino è poco più che trentenne, ha la mia età.

Nino Barra in vigna. Fonte: Sorgente del Vino
Subito dopo aver visitato Marco De Bartoli siamo stati invitati a pranzo a casa sua, l’influenza che lo attanagliava ci ha impedito di calpestare le vigne e la sua cantina ma questo, forse, è stato un bene perché, tra le mura amiche, abbiamo trovato un Nino più intimo, meno formale, un ragazzo con tanti sogni e solide realtà.
Il primo punto fermo dell’universo Barraco si chiama Terra, un patrimonio genetico unico che parte dai vecchi vigneti di famiglia, circa 10 ettari sparsi tra Marsala e le dune sabbiose di Triscina, che sono stati incrementati ultimamente con qualche fazzoletto di terra preso in affitto in zone particolarmente vocate.
Come De Bartoli, anche Barraco ama smisuratamente il Grillo, il vitigno che racconta più di altri la storia della sua terra. Era un vino perso tra le effimere mode, la mano di Nino gli ha ridato dignità e cultura riportandolo a quello che era 50 anni fa. Oltre al Grillo si producono altri tre vini della memoria: lo zibibbo, il catarratto, il pignatello e il nero d’avola.

Vigneto del Grillo
L’altro punto fermo dell’universo Barraco si chiama Naturalità: uve raccolte rigorosamente a mano, pressatura con torchio idraulico, fermentazione con lieviti non selezionati a temperatura non controllata in silos da 2.500 litri, malolattica svolta anche per i bianchi in modo da ridurre a zero l'uso di solforosa, affinamento in acciaio e poi in bottiglia. Bandite chiarifiche, microfiltrazioni o stabilizzazioni tartariche.
Barraco segue ogni fase della produzione del suo vino, dalla vigna, dove è aiutato dalle sapienti mani del padre, fino alla cantina dove è enologo di se stesso, padre putativo di un prodotto finale fuori dagli schemi e dai facili risultati. 

Durante il pranzo parliamo un po’ di tutto, ci svela paure e sogni  di un ragazzo siciliano, progressivamente ci apre la sua anima che, come il suo vino, scopriamo essere di forte personalità e coraggio.

Fonte: Terredivite.it
Ci apre il primo vino, è il suo Grillo, annata 2008, un vino figlio prediletto di vitigni di trenta anni di età distesi su dune di sabbia rossa che, soprattutto d’estate, in vendemmia, diventano roventi e madide del sudore di chi coglie eroicamnete i preziosi grappoli. Questa annata, non particolarmente calda, offre un vino dal grande equilibrio dove la frutta gialla, non troppo matura, ha un carattere salino e iodato di grande fascino.


Lo Zibibbo 2009, altro vitigno a cui Nino ha ridato identità e valore, non è quel vino piacione e stomacante che spesso si è soliti bere anche sulle migliori tavole. Questo vino profuma di moscato, di uva passa, di sale e di terra siciliana ma, come il precedente, ha un vestito fine, sartoriale, che invita continuamente alla beva senza stancare.


Proseguiamo col Catarratto 2009, vitigno della memoria che Nino vinifica magistralmente per offrirci un vino bilanciato, dal carattere minerale, scuro, a cui da contraltare, con l'ossigenazione, emergono le “classiche” note di frutta e fiori gialli. Da applausi la persistenza sapida finale.


Il primo rosso che Nino mette a tavola è il Pignatello 2008, un vitigno che non conoscevo (mea culpa) e che sorprende al bicchiere per la sua anima mediterranea (linea comune in tutti i vini Barraco) giocata su toni di ginepro, cappero, alloro, a cui seguono note di frutta di rovo e sale marino. Bocca imprevedibile, il vino entra succoso, fresco, e chiude intensamente scuro con un finale piacevolmente amarognolo.


L’ultimo vino è il Nero d’Avola 2005, un vitigno tristemente famoso per essere stato sputtanato dai tanti che, per seguire facili e temporanei guadagni, hanno piantato il vitigno anche dentro la tazza del water. Con Barraco si ritorna al passato, ad un vino territoriale fatto con amore e passione per la qualità totale. Quello che degustiamo è un grande nero d’avola, scuro, mediterraneo, cangiante, dotato di ottima freschezza e grandissima bevibilità, totalmente diverso rispetto a molti suoi "fratelli illegittimi". Esperienza unica.


Podere il Saliceto tra lambrusco e sfide da ring


Podere Il Saliceto, un fazzoletto di quasi quattro ettari immerso tra Campogalliano e Saliceto Buzzalino (Modena), nasce dalla passione di Gian Paolo Isabella, ex campione di Muay Thai, e di suo cognato Marcello Righi, agronomo.


Marcello Righi e Gian Paolo Isabella
Due pazzi, come amano definirsi, ai quali ho chiesto di descriversi amichevolmente perché, a volte, le mie parole non bastano per descrivere e sviscerare una passione che, come mi scrive Gian Paolo:”….nasce nel 2000 quando lascio il mio lavoro di ottico per  fare lo" schiavo" in varie aziende agricole per imparare a fare il vino. Lavoro per due anni anche da Vittorio Graziano, un grande vignaiolo che mi insegnerà molto. Nel 2005, con Marcello, acquistiamo i primi 4 ha di terreno e iniziamo la nostra sfida con un territorio difficilissimo come la pianura. Precipitazioni molto superiori alla norma, acqua a catinelle, piante che vegetano stile foresta amazzonica, insomma una vera battaglia che, per carattere, accetto anche perchè non so stare senza quel “frizzantino” che ti agita durante il sonno e che ti fa svegliare all’alba.


Passione, certo, ma anche il gusto di provare che il nostro territorio può dare molto ma molto di più. Il vino per me è questo: sfida, voglia di misurarsi con se stesso, godere delle giornate di sole e di pioggia, ridere per la bella vendemmia, bestemmiare per la grandinata, ridere dietro al confinante che prova raccogliere i grappoli che tu scarti durante la vendemmia verde, correre, sudare e non mollare mai, al limite cambiano loro. Godere dei commenti che la gente  esprime sul tuo lavoro, confrontarsi con i grandi maestri come Walter Massa o Stefano Berti, capire, crescere e cercare di imparare il più possibile, non essere mai contento dei tuoi vini, perchè da te vuoi solo il massimo, anche quando non arriva mai.
In cantina faccio un lambrusco tutto mio, un prodotto distante dallo stereotipo del “lambro” tradizionale. Religiosa selezione dell'uve, resa molto bassa dai 60 a 80 q.li / ha  (il disciplinare prevede 240 q.,li/ha), delastage a freddo per 4 giorni prima che la fermentazione inizi, fermentazione in autoclave con lieviti selezionati e tanta pulizia.


L’Albone", il mio lambrusco, è come quel pugile molto guascone che vuole apparire,  felice di essere ammirato per come porta i colpi, bravo a schivare e a rientrare, fiducioso del suo corpo (12% di alcool, 39 g/l di estratto secco, 7.9 g/l di acidità) e della sua anima da combattente, un gentiluomo sopra e giù dal ring.

Mia moglie dice l’Argine, l’altro mio vino, mi somiglia moltissimo perché ti ripaga ampiamente se lo tratti bene (giusta temperatura di servizio dopo averlo scaraffato) mentre, se maltrattato, è un pessimo compagno di bevute. Restando in ambito del ring è quel pugile che non molla mai, schivo, leale, che non concede niente, poco plateale, estremamente coerente ma che cresce alla distanza. E’ la nostra scommessa: solo a due matti poteva venire in mente di fare un vino rosso fermo in pianura".

Dopo questa belle parole ho voluto verificare di persona se questi due vini sono davvero come Gian Paolo li descrive.


L’Albone, blend di salamino e sorbara, nel bicchiere si presenta col suo vestito porpora effervescente che, dopo poco, viene rimosso per lasciare il vino nudo, pronto per invadere i nostri sensi. Non occorre avvicinarsi troppo al bicchiere per avvertire il bel connubio di aromi che vengono sprigionati, un mix perfetto ed elegante di frutta rossa croccante e terra che mi fa dimenticare la stucchevolezza di certi “lambri” bevuti da giovane. Al sorso stupisce per la sua fiera austerità. Le sensazioni di humus e fruttino di bosco sono ben calibrate all’interno di un architettura dove freschezza e sapidità la fanno da padrone. Leggero finale amaricante che rende il vino piuttosto maschio. La “nouvelle vague” del lambrusco parte anche da questo vino.

L’Argine 2008 (malbo gentile 65%, merlot 20%, sangiovese 15%) rappresenta la sfida al Lambrusco di Podere il Saliceto. Rosso rubino concentrato, impenetrabile, al naso è un trionfo di frutta rossa, nera, spezie. in bocca, nonostante una bella struttura, mi stupisce per la grande freschezza di beva e per un tannino presente ma perfettamente integrato. Chi si aspettava un vino marmellatoso e seduto dovrà ricredersi. Aveva ragione Gian Paolo, l’Argine è esattamente un pugile franco, diretto, che ti incanta e ti mette all’angolo per i suoi pochi ma incisivi colpi di classe.


Slowine sbarca a Roma il 7 Marzo 2011


  
Roma, lunedì 7 marzo 2011, dalle ore 11,30
Open Colonna, Palazzo delle Esposizioni – Scalinata di Via Milano, 9A

Il meglio dell’enologia di tutta Italia – con un approfondimento speciale sul Lazio – secondo Slow Food si dà appuntamento, lunedì 7 marzo 2011, a Roma, nell’esclusiva cornice dell’Open Colonna. Il pretesto è la
presentazione della versione internazionale di Slow Wine, la guida di Slow Food dedicata al vino, concepita esclusivamente per iPad. 

L’occasione è quella di incontrare 50 tra le migliori cantine italiane, con un focus speciale sulle 12 migliori realtà del Lazio. In altre parole, conoscere vini e vignaioli selezionati dalla guida che ha rivoluzionato il mondo della critica enologica, raccontando il rapporto tra l’uomo e la terra, in un’inedita fotografia del vino italiano che va oltre la semplice degustazione. Un momento di festa e di riflessioni attorno al presente e al futuro del vino italiano, da vivere assieme agli autori della Guida,  per parlare del rinascimento enologico di cui in questi ultimi anni il Centro Sud si è reso protagonista.

Interverranno: Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e presidente Slow Food international, Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia, Marco Bolasco, amministratore delegato Slow Food Editore, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori della guida.

E 50 cantine premiate dalla Guida Slow Wine 2011.

Programma della Giornata

ore 11.30: Presentazione della guida Slow Wine 2011 International.
ore 13: Degustazione di oltre 100 vini italiani prodotti da cantine che hanno ottenuto da Slow Wine 2011 la “Chiocciola” e altri riconoscimenti. Con un light lunch creato per l’occasione da Antonello Colonna.
ore 18: “Cibo, diritto e politica”: dibattito con Carlo Petrini e Stefano Rodotà. Modera  Santo Della Volpe  (Auditorium del Palazzo delle Esposizioni).

Costo €30, biglietti acquistabili presso Open Colonna, nei punti di tesseramento di Slow Food Roma o presso la tua Condotta Slow

Il biglietto comprende: GUIDA SLOWINE, DEGUSTAZIONE DI 100 VINI CHIOCCIOLA DA TUTTA ITALIA, INGRESSO ALLA MOSTRA  DI LORENZO LOTTO DELLE SCUDERIE DEL QUIRINALE.

per info e accrediti

INC – Istituto Nazionale per la Comunicazione
Matteo de Angelis 06.4416081 – 334.6788708 – m.deangelis@inc-comunicazione.it
Valentina Lorenzoni 06.4416081 – 349.7471665 – ufficio.stampa@inc-comunicazione.it

Cambio disciplinare Rosso di Montalcino: c'è chi la pensa diversamente


Torno da Montalcino con molte certezze in più, sia sui Brunello 2006 sia sull'aria che si respira attorno alla modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino. Sull'argomento posterò qualche video la prossima settimana.


Intanto su WineNews, magazine del vino con sede proprio a Montalcio, esce un articolo di un giornalista, tale Andrea Gabbrielli, che apre al cambiamento cercando di sminuire chi dice NO. Cosa scrive? Leggiamo.

Ma davvero è una novità dirompente la proposta di modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino tanto da sollevare un così forte clamore mediatico? E addirittura da rimandare il confronto di altri tre mesi?
Quando a maggio 2010 fu eletto il nuovo cda del Consorzio del Brunello, tutti i candidati avevano sottoscritto un programma di lavoro presentato da Coldiretti, Confagricoltura e Cia nel quale si ribadiva che “il Brunello di Montalcino deve rimanere prodotto dalle sole uve sangiovese di Montalcino ...”. Nel secondo punto, invece, si diceva, espressamente, di “valutare la riorganizzazione del Rosso di Montalcino e del Sant’Antimo che parta da un’attenta analisi dello stato dei fatti”. Sull’onda di questa impostazione condivisa fu creato un gruppo di lavoro coordinato dal presidente della Commissione tecnica del Consorzio, Fabrizio Bindocci, ed a cui hanno partecipato diversi esponenti di grandi e piccole aziende di Montalcino.

Nell’impegno, durato diversi mesi, il confronto interno si è allargato ad altri interlocutori tra cui l’Università (professor Mattiacci, autore di uno fondamentale e profetico studio sulla realtà produttiva del montalcinese), i funzionari della Regione Toscana responsabili del settore vitivinicolo, l’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi per non parlare del Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole e, infine, molti importatori. Insomma, difficile da considerare questo impegno come svolto in assoluta clandestinità e d’altra parte la situazione del Rosso è da tempo sotto gli occhi di tutti: si vende poco e male. Da qui la necessità di trovare una nuova strada anche attraverso un nuovo disciplinare. 

La proposta infatti prevede tra l’altro la possibilità di utilizzare il sangiovese da un minimo dell’85% fino al 100% ed eventualmente di impiegare il 15% di altri vitigni, di utilizzare l’irrigazione di soccorso o la possibilità di impiegare chiusure alternative (Stelvin). Infine chi utilizzerà il 100% di sangiovese lo potrà indicare con un’apposita specifica in etichetta. Insomma renderlo un prodotto più appetibile, specialmente nei nuovi mercati.
Vale la pena di ricordare, a questo proposito, quanto in tempi non sospetti dichiarava il decano dei produttori di Montalcino nel 2008, Franco Biondi Santi, e successivamente ribadita in più occasioni: “Ora, piuttosto che parlare di modifica al disciplinare del Brunello Docg ... sarebbe da ripensare quello del Rosso di Montalcino Doc: non più un Sangiovese in purezza, ma un mix con altri vitigni coltivati a Montalcino, possibilmente pochi, in percentuali da studiare e da stabilire con chiarezza, che esprimerebbe comunque la tipicità del territorio ... E questa deve essere una possibilità da sfruttare, non una situazione da subire”.

Insomma, l’ipersensibilità su questo tema sembra davvero troppo eccessiva ma di sicuro ha assicurato grande visibilità a chi ha urlato più forte anche se non ha fornito nemmeno una possibilità in più al Rosso di Montalcino. Scriveva ieri Giuseppe De Rita come chiusura del suo editoriale sul Corriere della Sera “ ... umiltà collettiva che ha meno riscontri mediatici ma maggiore qualità etica rispetto alle troppe indignazioni che oggi tengono banco”. Forse bisognerebbe indignarsi di meno e offrire qualche soluzione in più. 

Posso  rispondere alla domanda iniziale? Sì, Andrea, è talmente importante che che quattro gatti stanno cercando di stravolgere l'identità di un vino e di un vitigno. Se non ci arriivi c'è qulacosa che non va!


Montalcino sto arrivando...


......ma non vado a Benvenuto Brunello, nessuna Anteprima per me stavolta, non sono giornalista, non mi invitano e non sono ammanicato con nessuno. Mi aspetta la dissidente Stella di Campalto e i ragazzi dell'Enoclub Siena. A presto.


E poi dici che il vino è speziato....


L'Istituto Agrario di San Michele all'Adige (Tn) ha scoperto che in alcuni vini e' presente il principale aroma del pepe nero: il rotundone.
Il composto, che si trova in buone quantita' anche in alcune spezie, quali rosmarino e maggiorana, e' stato identificato in concentrazioni elevatissime nei vini Vespolina, Schioppettino e Gruner Veltliner, come riportato questo mese sulla prestigiosa rivista internazionale "Rapid Communications in Mass Spectrometry", ma da ricerche in corso risulta presente in modo consistente anche nel Groppello di Revo'. 


Il gruppo di ricerca, coordinato da Fulvio Mattivi in collaborazione con gli scienziati Daniele Nanni dell'Universita' di Bologna e Leonardo Valenti dell'Universita' di Milano, ha sintetizzato il rotundone in laboratorio e messo a punto un metodo rapido e accurato per il suo dosaggio nei vini. Un risultato utile per comprendere il ruolo e gestire la presenza nel vino di un composto di straordinaria importanza sensoriale.
"La molecola e' stata individuata due anni fa da un team di ricercatori australiani nel vino Syrah -spiega Fulvio Mattivi, responsabile del Dipartimento Qualita' Alimentare e Nutrizione del Centro ricerca e innovazione-, dove determina appunto la tipica nota speziata di pepe. I risultati preliminari di una larga indagine tutt'ora in corso su vini italiani, austriaci e spagnoli supportano l'idea che il rotundone sia un componente semi-ubiquitario dell'aroma del vino, e che un numero consistente di vitigni autoctoni ed antichi, tra i quali il Groppello di Revo' in Trentino che risulta essere uno dei maggiormente speziati, sono caratterizzati dalla presenza di questo aroma a concentrazioni di forte impatto sensoriale".


Nei vini Schioppettino e Vespolina sono state trovate concentrazioni di rotundone fino a 560 ng/L (nanogrammi per litro) che superano di 35 volte la soglia sensoriale, mentre nei vini bianchi Gruner Veltliner il rotundone e' presente con concentrazioni fino a 17 volte la soglia di percezione.

Il Groppello di Revo' e' un vitigno a bacca nera, con grappolo compatto, oggi coltivato da pochi appassionati coltivatori in valle di Non. Lo Schioppettino e' una varieta' nativa dei Colli Orientali del Friuli, utilizzata nella produzione di vini con una fortissima personalita', caratterizzati da fragranze speziate e con uno speciale sentore di pepe bianco.

Groppello di revò
Fonte: Agi.it

Cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino: la parola al marketing


Agi.it ha pubblicato un interessante comunicato stampa che ci fa capire, ufficialmente, il perchè ieri si è deciso di rinviare l'assemblea sul cambio del disciplinare del Rosso di Montalcino.

Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio , infatti, "preso atto che ad oggi non pare esservi una compiuta informazione sul lavoro svolto e sulle finalita' e le necessita' perseguite per la revisione del disciplinare del Rosso di Montalcino, ha ritenuto responsabile rinviare la votazione al fine di fornire maggiori e più compiuti approfondimenti. La votazione, prevista per oggi, che sara' oggetto di approfondimento e verrà riproposta entro tre mesi dalla data odierna, invitando tutti gli associati a fornire alla Commissione Tecnica ogni indicazione che possa essere ritenuta utile per migliorare una delle ricchezze del territorio". 

Ezio Rivella
Come ha sottolineato il Presidente del Consorzio Ezio Rivella "e' una decisione che ci lascia molto soddisfatti perche' la maggioranza ha giustamente valutato che per una materia cosi' delicata per il prodotto, il mercato ed il territorio fossero necessari ulteriori approfondimenti tecnici prima di pronunciarsi in modo definitivo in uno o nell'altro senso. Del resto l'eventuale cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino era tra i punti da esplorare del mandato del nuovo Consiglio". 

Il Consiglio di amministrazione del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino in questi mesi ha già lavorato per dare attuazione al programma sottoscritto dalle tre associazioni di categoria e da tutti i candidati al Consiglio di Amministrazione, al momento delle elezioni. Tale programma, al punto 2, prevede "la riorganizzazione del Rosso di Montalcino, al fine di attuare una seria politica di rilancio".

In tal senso e a tal fine sono stati interpellati il Prof. Mattiacci ordinario di marketing all'Universita' La Sapienza di Roma, nonche' le Autorita' regionali e nazionali preposte per l'approvazione dei disciplinari. Tutto ciò per la definizione e per la migliore attuazione di eventuali modifiche al Disciplinare del vino Rosso di Montalcino. Tale sforzo e impegnativo lavoro svolto dalla Commissione Tecnica e dal Consiglio del Consorzio tutto, ha lo scopo di dare maggiori prospettive commerciali a un vino che in questi anni ha "segnato il passo". La strategia del Consiglio e' quella di tutelare nella sua globalita' tutti i produttori a prescindere dalle dimensione aziendali e dalle strategie dei singoli. 


Quindi, da quanto emerge, Mattiacci e un altro gruppetto non identificato di persone, magari astemi, avranno in mano il destino di uno dei valori Montalcino? 

Ma siamo sicuri che questo vino abbia davvero "segnato il passo"? Conosco tanti produttori che fanno un Rosso di Montalcino così buono che viene venduto tutto senza problemi. 
Forse, per dirlo alla toscana, non vende chi fa "troiai" in cantina. Imparassero a lavorare meglio queste persone! 
Altro che geni del marketing  con le loro strategie buone solo per vendere gli assorbenti con lei ali!


Un'emozione chiamata Madeira Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection


La storia del Madeira si perde nella notte dei tempi e, per molto versi, ricorda quella del Marsala.
Nel XVII secolo l’isola portoghese era considerata un porto di sosta importante per le navi mercantili dirette verso il nuovo mondo che, da queste parti, si rifornivano di cibo e bevande locali. Il vino, sistemato nelle stive della navi, doveva affrontare lunghi e caldi viaggi e, inevitabilmente, giungeva al termine del viaggio completamente imbevibile. 

Vecchia mappa di Madeira
 Con lo scopo di prevenire questo inconveniente, si pensò di aggiungere brandy al vino in modo da fargli sopportare le insidie del lungo viaggio. Il vino rimaneva nelle botti a maturare per mesi al caldo equatoriale delle stive delle navi, e l'azione conservante dell'alcol restituiva, alla fine del lungo viaggio, un ottimo vino, di carattere, totalmente diverso da quello di partenza. 
Era nato il mito Madeira, la cui pratica di farlo ossidare al caldo equatoriale divenne così imprescindibile che, all’epoca, i migliori Madeira erano proprio quelli che avevano viaggiato per mesi nelle stive di navi e che per questo venivano chiamati Vinhos de Roda, cioè vini che avevano compiuto un viaggio fino a tornare, arricchiti e impreziositi, nell'isola.

Oggi, ovviamente, il Madeira non viene più prodotto col riscaldamento delle botti nelle navi ma simulando lo stesso processo: il vino, infatti, per alcuni mesi viene sottoposto ad alte temperature (intorno ai 50 °C), utilizzando le c.d. estufas (stufe) che ossidano velocemente il vino convogliando costantemente aria equatoriale.

Vecchia immagine di una prima estufas
Si deve comunque osservare che il processo di riscaldamento per i Madeira più pregiati viene svolto senza l'ausilio delle estufas, e si svolge in modo naturale lasciando le botti in appositi locali posti sottotetto dove il torrido caldo dell'isola fa raggiungere temperature elevate. In queste condizioni, le botti vengono in genere lasciate per lunghi periodi di tempo, spesso anche per decine di anni, al termine del quale il vino viene trasferito in ambienti più freddi e quindi imbottigliato.

Estufas moderna
Ci sono quattro tipologia di Madeira distinte a seconda del tipo di uva usata per produrlo:

  • il Malmsey (Malvasia), il più dolce (indicato anche con il termine di ricco);
  • il Boal, semi-dolce (indicato anche con il termine di dolce);
  • il Verdelho, semi-secco (indicato anche con il termine di medio);
  • il Sercial, il più secco (indicato anche con il termine di secco).
Nei Madeira di minore pregio, spesso si utilizza anche il Tinta Negra, un uva a bacca rossa alloctona introdotta dopo l’epidemia della fillossera.
La scorsa settimana durante il Roma VinoExcellence 2011 si è svolta una bellissima verticale di Madeira Barbeito, una piccola azienda famigliare fondata nel lontano 1946 che, come vedremo, conserva nella sua cantina gemme senza tempo.  


In degustazione:

Barbeito Sercial Old Reserve 10YO: l’uva sercial offer dinamicità e spina acida al Madeira. Colore oro antico offre al naso piacevoli sensazioni di nocciola, mallo di noce e albicocca secca. Sorso caratterizzato da acidità evidente che mantiene la bocca pulita. Forse un po’ corto in bocca.

Barbeito VB – Lote 2 (cask 12 & 26), Medium Dry: blend di Verdelho e Boal che un po’ rompe la tradizione che vuole il vino monovitigno. Qua si riesce ad intuire la struttura dell’uva Boal (40%) e la freschezza del Verdello (60%). Naso interessante di noce, olio di mandorle, cera. Bocca di media lunghezza, fresca, elegante, chiusura su toni di legno pregiato.

Barbeito Boal – Old Reserve 10YO: quest’uva è sinonimo di struttura e grassezza. Naso caleidoscopico dove ritroviamo l’opulenza del caffè tostato, la cera, la crema di nocciola, il miele di castagno. Bocca glicerica ma non seduta, la freschezza è una caratteristica del Madeira che non rimane mai stucchevole. Grande persistenza finale.

Foto di Davide Cocco
Barbeito Malvasia 2000 – Single Cask 40°: vino con discreto residuo zuccherino. Ha aromi uva passa, canditi, frutta secca e una bella mineralità. Bocca elegante, misurata, più secca forse di una tipica Malvasia portoghese. Ottima la persistenza e la pulizia di bocca.

Barbeito Colheita 2002 – Canteiro – Single Cask 110 (my first Tinta Negra Single Cask): Ricardo Freitas, proprietario dell’azienda, ci dice che come per il Babeito VB, anche questo vino è una scommessa perché nessuno fino ad ora credeva nelle potenzialità dell’uva rossa Tinta Negra giudicata dai più buona solo per vini di basso rango. Come per il Pinot Nero nello Champagne, questo vitigno porta struttura e un naso giocato su aromi di caramella all’orzo, zucchero bruciato, noci dolci. Bocca di grande freschezza e scorrevolezza nonostante la tanta ciccia.

Barbeito Malvasia 20 YO – Lote 7199: la struttura del vino e la complessità gustativa cominciano a farsi estremamente interessanti. Naso resinoso, di erbe aromatiche, di cuoio, frutta secca, olii essenziali, cera per mobili antichi. Forse una punta di alcol che esce di troppo. Sento tantissimo il minerale vulcanico. Bocca dinamica, fervida, minerale. Grande corpo e grande persistenza finale.

Barbeito Malvasia 1920 (Private Collection from Favilla Vieira family): per la legge in vigore all’epoca questo vino ha subito un affinamento minimo di 20 anni anche se Ricardo ci assicura che è rimasto in botte per 90 anni. Come riporta l’etichetta questi grandi vini erano di proprietà di famiglie dell’isola che sceglievano di invecchiare il vino al fine di tramandarlo di generazione in generazione. Non sto a scrivere cosa significa odorare e bere un vino del genere, ogni descrittore che ci fa pensare al tempo che passa è abile e arruolato.

Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection: avere tra le mani un vino di 150 anni è un’esperienza mistica, irripetibile, perchè vuol dire che hai in pugno la storia di tante persone che hanno amato questo vino talmente tanto da renderlo sacro e preservarlo da un mondo che cambiava e diventava sempre più profano. Un pezzo di storia che i miei sensi difficilmente dimenticheranno.

Foto di Davide Cocco

Fonte: Wikipedia e Diwine Taste

Rosso di Montalcino: rinviata l'assemblea per il cambio di disciplinare


Il mio corrispondente da Montalcino, dal nome top secret, mi ha appena informato che l'assemblea che avrebbe dovuto decretare la modifica del discliplinare del Rosso di Montalcino è stata appena rinviata.


 Notizia buona o cattiva?

Il vino in Toscana: è tutto oro quello che luccica?

Me la pongo spesso questa domanda, soprattutto a leggere cià che viene scritto alla vigilia delle tante anteprime del vino toscano dove, a ritmi frenetici, le varie agenzie di stampa stanno sfornando una serie di comunicati che cercano di dar lustro al vino italiano, toscano in primis.


Va tutto bene a Montalcino? Certamente sì visto che una ricerca condotta all’agenzia Klaus Davi & Co per la Frescobaldi ha confermato il Brunello di Montalcino come il vino più venduto nelle enoteche segnando, tra l’altro, un aumento delle esportazioni del 9% rispetto allo scorso anno. Ed ancora, secondo la classifica annuale delle 100 migliori bottiglie stilata dalla rivista americana Wine Spectator, il Brunello di Montalcino è sempre nelle prime posizioni dei vini migliori del mondo.
Sembra un mondo perfetto vero? Un mondo dove si dimentica che aziende come Antinori, Banfi, Pian delle Vigne, Fattoria dei Barbi Agricola Centolani (per irregolarità sul Rosso di Montalcino) e la stessa Frescobaldi hanno patteggiato pene per lo scandalo Brunellopoli.
Un mondo perfetto fatto di comunicati stampa rilasciati da un Consorzio che giudica le varie annate non secondo Natura ma secondo quel marketing che deve evitare che gli americani comprino altro quando il prodotto non è all’altezza.
Un mondo perfetto dove stanno attaccando il Rosso di Montalcino che, da bravo fratello minore, dovrà prendersi, speriamo di no, fino al 15% di quelle uve internazionali che qualcuno ha piantato e che non sa come far fruttare.


Vogliamo parlare del Chianti Classico? Il mondo perfetto vede un 2010 dal bilancio decisamente lusinghiero, che totalizza una crescita delle vendite che mediamente si attesta su un +21% rispetto al 2009. Un trend che fa ben sperare per il 2011 e che indica una ripresa che, se pure con tutta la prudenza del caso, sembra inarrestabile.

Se andiamo a parlare con i piccoli vignaioli, prendiamo ad esempio Paolo Cianferoni di Caparsa, ci accorgiamo che il mondo perfetto è anche fatto di tanta, troppa burocrazia, di tasse raddoppiate, di prezzi al ribasso per le uve, di inceneritori incombenti e di una manifestazione, il Chianti Classico Collection 2011, dove sarà possibile presentare un vino IGT per ogni azienda partecipante. Merlot e cabernet anche a Firenze per un evento che dovrebbe tutelare la tradizione e il buon nome della dicitura Chianti Classico. Effetto Montalcino?


Potrei continuare per un  bel po’ parlando del Nobile di Montepulciano sempre più vino da export (68% delle vendite all’estero nel 2009) e sempre più “assediato” dalla Ocm che non riporta la menzione «Nobile» tra le denominazioni, nonostante la docg senese fosse già presente nei precedenti regolamenti UE.
Oppure dell’Amarone? Sempre più uguale a se stesso e senza quella parolina “Valpolicella” che gli conferiva un minimo di territorialità.

Il mondo perfetto del marchio Italia che va a gonfie vele forse si è dimenticato del ministro per le Politiche Agricole, Giancarlo Galan, che pochi giorni fa ha dato notizia dell’approvazione del decreto che  consentirà il ricorso alla distillazione di crisi non soltanto per i vini comuni ma anche per le produzioni di qualità (vini a denominazione di origine e ad indicazione geografica), cui la misura era precedentemente preclusa, con l'impegno di procedere, nella campagna successiva a quella in cui si effettua la distillazione, alla riduzione di almeno il 20% delle rese della produzione coinvolta.

Qualcosa non mi torna!

Il Top delle guide dei vini 2011


Interessante articolo apparso su Civiltà del Bere che fa un sunto dei vari premii che le Guide del Vino hanno attribuito nel 2011. Leggiamo insieme.

L’ingresso di una nuova Guida, Slow Wine, attenta a territorio e ambiente, non cambia il panorama dei vini-top. Si confermano eccezionali Sassicaia e Riserva del Fondatore Giulio Ferrari. Al vertice anche Radici Taurasi Riserva e Barolo Le Rocche del Falletto
4 vini hanno ottenuto la citazione d’eccellenza su tutte le 6 Guide:
  • Campania: Mastroberardino Radici, Taurasi Riserva Docg 2004
  • Piemonte: Giacosa Bruno Le Rocche del Falletto, Barolo Riserva Docg 2004
  • Toscana: Tenuta San Guido Sassicaia, Bolgheri Sassicaia Doc 2007
  • Trentino-Alto Adige: Ferrari-Fratelli Lunelli Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, Brut Trentodoc 2001
13 vini hanno ottenuto la citazione d’eccellenza su 5 delle 6 Guide
  • Abruzzo: Cataldi Madonna Luigi Tonì, Montepulciano d’Abruzzo Doc 2007
  • Basilicata: Fucci Elena Titolo, Aglianico del Vulture Doc 2008
  • Lombardia: Ca’ del Bosco Cuvée Annamaria Clementi, Franciacorta Docg 2003
  • Marche: Oasi degli Angeli Kurni, Igt Marche Rosso 2008
  • Piemonte: Conterno Giacomo Barolo Monfortino Riserva Docg 2002; Gaja Barbaresco Docg 2007; Sandrone Luciano Barolo Cannubi Boschis Docg 2006
  • Sardegna: Argiolas Turriga, Igt Isola dei Nuraghi 2006
  • Toscana: Isole e Olena Cepparello, Igt Toscana Rosso 2007; Petrolo Galatrona, Igt Toscana Rosso 2008; 
  • Trentino-Alto Adige: Cantina Caldaro Castel Giovanelli – Serenade, Goldmuskateller Alto Adige Passito Doc 2007; Foradori Granato, Igt Vigneti delle Dolomiti Rosso 2007
  • Veneto: Allegrini Amarone della Valpolicella Classico Doc 2006.


Nel placido mare delle Guide enologiche italiane irrompe un nuovo protagonista di non poco conto: Slow Food, che con la sua capillare rete di soci è stato capace, dopo la scissione dal Gambero Rosso con cui aveva firmato la Guida Vini d’Italia sino all’anno precedente, di realizzare e diffondere in pochi mesi una propria pubblicazione, complessa e basata sui principi storici del sodalizio di Bra, il cui slogan è “buono, pulito e giusto”. Ecco allora che ai vini-frutto, ai tre bicchieri, ai cinque grappoli… si affiancano i “Vini Slow”, bottiglie che oltre a una qualità eccellente hanno mostrato particolare attenzione a territorio, storia e ambiente. E le colonne del nostro Top delle Guide da cinque sono diventate sei.
 
Cominciamo col dire che, sebbene i criteri selettivi di Slow Food siano peculiari e abbiano individuato addirittura 243 etichette “esclusive” (quelli che noi definiamo cuori solitari, i vini eccellenti secondo una sola Guida), il nuovo vademecum enoico non ha creato notevoli sconquassi al vertice, e quindi i vini-top sono pressappoco quelli di sempre. 
Anche analizzando le etichette che hanno mancato l’en plein per un solo voto, non risulta che Slow Food abbia cambiato il panorama dei vini italiani più apprezzati. Si confermano al vertice la leggenda Sassicaia della Tenuta San Guido, annata 2007, e la Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2001 dell’omonima Casa spumantistica trentina; raggiungono l’ambito e raro plauso unanime anche la Riserva di Radici Taurasi Mastroberardino (2004) e il Barolo Riserva 2004 Le Rocche del Falletto firmato da Bruno Giacosa.
Anche per quest’edizione ci discostiamo dalle notizie date in anteprima da altre testate. Il sito di WineNews, ad esempio, comunicava che quest’anno un solo vino mette d’accordo tutte le Guide. È doveroso spiegare perché, dal nostro osservatorio, la situazione è un po’ diversa. Dipende tutto, onestamente, dai criteri di valutazione di Luca Maroni e dal peso che si vuole dare ai suoi punteggi. Il portale citato, probabilmente, ha utilizzato un primo elenco di Maroni, riguardante una selezione dei “migliori”, divulgato dalla LM edizioni a novembre. Però il critico romano sostiene che l’ottimo sia rappresentato dai vini-frutto, da lui inventati, che partono da 84/100. Sono moltissimi, 7.633, ed è per questo che, per rendere il giudizio “omogeneo”, cioè paragonabile a quello delle altre Guide, noi abbiamo ritenuto di includere nel Top delle Guide solo i Migliori vini pubblicati nell’Annuario di Luca Maroni che partono dai 90/100, e sono 465 (sono 390 i cinque grappoli, 402 i tre bicchieri, 415 i super tre stelle della Guida Veronelli ecc.). Inoltre, come spieghiamo a pag. 100, se un vino mette tutti d’accordo, tranne Maroni, ma è comunque un vino-frutto (da 84/100 in su), lo segnaliamo tra i top-wine.


Ecco quindi affiancarsi al Radici Riserva Mastroberardino (95/100) il Sassicaia, che ha collezionato tutti i giudizi di eccellenza dalle altre Guide e pure i 90/100 da Maroni. Infine, Le Rocche del Falletto di Bruno Giacosa e Giulio Ferrari Riserva, che sono vini-frutto anche se non entrano nel primo elenco diffuso dalla LM edizioni.
Solo quattro etichette, dunque, su 1.734 premiate dalle Guide hanno saputo accontentare tutti. Un gradino sotto, con il ragguardevole risultato di 5 eccellenze su sei Guide, ci sono 13 vini: il Montepulciano d’Abruzzo Tonì 2007 di Cataldi Madonna, l’Amarone 2006 di Allegrini, due Barolo, un Barbaresco, due SuperTuscan, un Franciacorta (la Cuvée Annamaria Clementi 2003 di Ca’ del Bosco), un Aglianico del Vulture, il marchigiano Kurni 2008, il Turriga 2006, il trentino Granato di Foradori e il passito altoatesino Serenade della Cantina Caldaro.
Per chi ama le statistiche, sommando i vini da 5 e quelli da 6 eccellenze scopriamo che rappresentano solo lo 0,98% dell’universo eccellente nel 2011; se vogliamo allargare l’osservazione sino a includere i vini che sono stati premiati da due Guide, essi sono il 22,09% del totale. Dunque il 77,91% delle etichette-top sono la scelta distintiva di una sola pubblicazione. 
Questo nostro censimento è tradizionalmente suddiviso in due capitoli: quello dei vini e quello delle aziende. La seconda parte consente di monitorare le scelte stilistiche, o strategiche se vogliamo, delle Guide, e di riflettere sulla produzione vinicola italiana in senso più ampio. Se le etichette-top sono quattro, le griffes che (anche per vini diversi) hanno messo tutti d’accordo sono nove: oltre ovviamente alle quattro che producono i vini citati sopra, si registra la presenza dell’abruzzese Masciarelli, della franciacortina Ca’ del Bosco, dei piemontesi Gaja e Sandrone, e della toscana Petrolo. Le cocche, le Cantine che presentano vertici di qualità solo per una Guida, sono 605 su 1.054 aziende, il 57,4%, un risultato ampio ma è evidente che sulla scelta dei produttori vinicoli da premiare c’è meno “dispersione” rispetto alle singole etichette.

 
Come sempre, il principe della soggettività è Luca Maroni: l’83,65% dei vini che hanno ottenuto un punteggio superiore ai 90/100 è sua esclusiva scelta non condivisa da nessun’altra Guida. Subito dopo, in questo senso, c’è la nuova Slow Wine, con il 60% circa di vini premiati solo da questa. In effetti, sono le due pubblicazioni che denunciano sin dalla prefazione un criterio di giudizio particolare: per Maroni l’indice del vino-frutto (con un suo assioma per cui un vino possa essere considerato tale) e per Slow Wine la pretesa di particolari attenzioni ambientali o etiche.
Come si sono comportate le Guide di fronte alle solite questioni regionali? Chi “vince” tra le due eterne contendenti (vedere tabella a pag. 114)? Il Piemonte. Con 354 vini eccellenti (il 20,4%) stacca la Toscana, che può vantarne 315 (il 18,16%). Una differenza di 39 può essere spiegata con il “peccato originale” di Slow Food, il cui cuore batte a Bra (Cuneo). Per la cronaca, l’anno scorso in testa c’era la Toscana con 25 vini di vantaggio, mentre il Piemonte aveva perso per strada 96 etichette-top. Insomma, quest’anno si è capovolta la situazione. Al terzo posto (131 vini, corrispondenti al 7,55% del totale) si conferma il Trentino-Alto Adige, regione piccola ma ad alta concentrazione qualitativa, grazie ai vignaioli del Sudtirolo, con i loro Pinot nero e Gewürztraminer, e ai sempre più amati e conosciuti Trentodoc. Al quarto il Veneto, 128 vini (7,38%). Fanalino di coda è il piccolo Molise, con 4 etichette eccellenti, una in meno di un anno fa.


Questo il quadro generale e se analizziamo le preferenze regionali Guida per Guida scopriamo che solo Luca Maroni mette la Toscana, anziché il Piemonte, al vertice ed è l’unico a dare particolare rilievo al Lazio (14 eccellenze). Inoltre, altra curiosità, mentre le pubblicazioni “spalmano” medaglie e premi tra tante regioni in maniera più o meno equilibrata, la Guida Veronelli è iperfocalizzata su Piemonte (135 vini eccellenti) e Toscana (121), cioè 256 su 415 vini premiati, forse per via del radicamento in queste regioni dei due curatori, Daniel Thomases e Gigi Brozzoni.
 
Nel nostro Top delle Guide, tra le varie informazioni pubblicate, non manca il numero di bottiglie prodotte di ciascun vino: non sono, a dire il vero, tutte “chicche introvabili”. Guardando il vertice (6 o 5 eccellenze) a parte tre (attorno alle 6.000 bottiglie) sono tutti vini oltre le 10.000 bottiglie e il Sassicaia 220.000. Quest’ultimo è decisamente una Blue Chip del vino, come abbiamo definito le etichette pluripremiate a grande diffusione. Ne abbiamo estratto una tabella (pag. 106), per rendere onore a chi riesce a coniugare quantità e qualità. Quest’anno il Marina Cvetic S. Martino Rosso (400.000) scalza dalla vetta il Tignanello (340.000). Terzo nella classifica delle Blue Chips è il Duca Sanfelice Cirò Riserva di Librandi (300.000).


Fonte: Civiltà del Bere