Quel che so sul Ciliegiolo e relative interpretazioni

Lo confesso, fino a pochi giorni fa non mi potevo considerare un grande bevitore di Ciliegiolo che consideravo un vino abbastanza marginale visto le passate esperienze degustative.

L'invito dell'Associazione Produttori Ciliegiolo di Narni per partecipare alla seconda edizione di Ciliegiolo d'Italia è stata, perciò, un'occasione davvero ghiotta per capire davvero se con questo vitigno/vino io possa mai avere il giusto feeling.


Narni - Foto: Andrea Federici

Quindici giorni fa, pertanto, io e il Ciliegiolo ci siamo nuovamente messi alla prova, l'uno contro l'altro, e dopo due giorni passati nella splendida Narni (Terni), tra banchi di assaggio e seminari, finalmente abbiamo avuto modo di conoscerci meglio e, tra una litigata e l'altra, così come accade nei rapporti interpersonali, probabilmente da questa relazione contrastata è nata una passione che, se ben coltivata, sfocerà in un amore un po' folle che certamente mi porterà a rivedere la futura composizione della mia cantina personale.



Sul mio fido Moleskine ho preso stavolta pochi ma importanti appunti che, un po' alla rinfusa, cercherò di riportare sul blog con la speranza che, unendo tutti i punti, riesca a disegnare alla fine un profilo abbastanza completo del Ciliegiolo e di tutte le sue declinazioni. 

Ecco, punto per punto, tutto ciò che ho scoperto dove aver degustato oltre 60 campioni:

  • il ciliegiolo, come vitigno, è tipico dell'Italia centrale e sembra sia stato importato nel nostro Paese dalla Spagna. Studi recenti sul suo DNA lo mettono in stretta parentela col sangiovese del quale, addirittura, sarebbe uno dei genitori. In particolare tali studi tendono ad equiparare il ciliegiolo con l'aglianicone;
  • il ciliegiolo è presente a Narni e Comuni limitrofi fin dal Medioevo;
  • tradizionalmente è stato sempre considerato un vino da taglio;
  • il suo nome, come facile pensare, deriva dal suo colore rosso rubino e dal caratteristico aroma di ciliegia;

Foto: Andrea Federici

  • il ciliegiolo è stato spesso usato, soprattutto in Toscana, per produrre vino novello;
  • come scrive giustamente Giampaolo Gravina, il Ciliegiolo non è un rosso dal grande peso estrattivo. Se cercate i pesi massimi dovete rivolgervi altrove;
  • se le terre di elezione del vitigno solo Umbria e Maremma Toscana, ho trovato ciliegiolo piantato e prodotto anche in Lombardia, Liguria, Marche, Lazio e Puglia;
  • se deriva da zone scarsamente vocate e vinificato in maniera poco attenta, il ciliegiolo dà origine a rossi banali che ricordano, guarda un po', proprio il profilo dei vini novelli caratterizzati da un aroma poco complesso di frutta rossa e da un aspetto gustativo abbastanza "sfuggente";
  • del Ciliegiolo in purezza, se fatto bene, si apprezza la sua fragranza, la sua schiettezza e la sua succosità. Non chiedetegli grande complessità. Il nebbiolo lo trovate da altri parti.
  • il Ciliegiolo è dotato di scarso tannino e forse, proprio per questo, ha una beva che può toccare vette esaltanti!
  • per la sua delicatezza ama probabilmente l'acciaio o il legno grande. La barrique è invasiva e lo marca troppo anche se gestita al meglio.
  • a Narni e dintorni il Ciliegiolo è generalmente dotato di maggiore finezza rispetto a quello proveniente dalla Maremma dove risulta invece più caldo e rotondo;
  • dei 60 campioni degustati avrei comprato solo il 10%;
  • la strada per produrre grande Ciliegiolo è ancora in salita anche se, come vedremo successivamente, ci sono vignaioli che stanno tracciando la via maestra della qualità e dell'eleganza;

Foto: Andrea Federici
  • si può produrre un ciliegiolo interessante anche in Val Camonica;
  • le espressioni del Ciliegiolo in rosato sono ancora pochissime (4 campioni su 60) ma i risultati sono molto incoraggianti. Perchè non insistere su questa via?
  • il Ciliegiolo non mi convince ancora nella sua evoluzione temporale. Tranne rarissime eccezioni, dopo 4/5 anni ho trovato vini già in forte parabola discendente. Ad oggi, pertanto, si può asserire che il Ciliegiolo è un vino di pronta beva;
  • soffre le annate calde;
  • anche sui prezzi di vendita del vino c'è grande variabilità ovvero si passa da 8 euro fino ad arrivare ai 20 euro per una bottiglia. Il prezzo giusto per i vini migliori, forse, è a metà o poco più.


Dei tanti vini degustati sia in sala stampa che nei seminari condotti egregiamente da Fabio Pracchia, Gianmpaolo Gravina, Antonio Boco e Giampiero Pulcini vorrei segnalare i seguenti Ciliegiolo:

Leonardo Bussoletti - "Brecciaro" Ciliegiolo di Narni IGT 2014: Bussoletti oltre ad essere il presidente dell'Associazione Produttori Ciliegiolo di Narni è anche, a mio modesto parere, il vignaiolo che sta cercando di valorizzare al meglio questo vitigno anche attraverso una recente mappatura dei vecchi vigneti aziendali dai quali, in collaborazione con il prof. Valenti dell'Università di Siena, sono stati individuati circa 30 cloni di ciliegiolo a loro volta studiati per portare avanti una selezione clonale e massale. Il Brecciaro, il cui nome deriva dal terreno sassoso dove sono piantate le vigne, è un rosso luminoso, sanguigno, che punta sulla freschezza fruttata e su una verve floreale e balsamica che dona personalità aromatica. Sorso succoso, scattante e dotato di spinta sapida. Grandissima beva.

Foto: Andrea Federici

Antonio Camillo - "Il Principio" Maremma Toscana Ciliegiolo DOC 2015: dopo essere stato il braccio destro di Giampaolo Paglia a Poggio Argentiera, Camillo si è messo in proprio e ha iniziato a volare con le proprie ali. Il Principio è uno dei due ciliegiolo prodotti da questo bravo vignaiolo (l'altro è il Cru Vigna Vallerana Alta) che in maniera molto schietta e diretta con questo vino riesce ad interpretare il territorio della Maremma in maniera esemplare. E' un ciliegiolo dotato di struttura e carattere ma al tempo stesso si presenta scorrevole ed equilibrato. Un vino bandiera, senza compromessi, che ha ricevuto durante la manifestazione il premio “CILIEGIOLO: UN PICCOLO GRANDE ROSSO, A BRIGLIA SCIOLTA” alla memoria di DANTE CILIANIcaporedattore della redazione ternana de Il Messaggero e presidente dell’ordine dei giornalisti dell’Umbria prematuramente scomparso lo scorso settembre.


Antonio Camillo - Foto: Andrea  Federici

Fontesecca - Ciliegiolo IGT Umbria 2010: Paolo Bolla, vignaiolo con la passione per il mare e la vela, è di origine veneta e nel 2006, dopo aver acquistato un podere a Città della Pieve comincia a produrre con metodi naturali vini da vitigni autoctoni tra i quali spicca questo ciliegiolo che, durante il seminario condotto da Gravina, ha spiccato per personalità ed integrità e per un profilo olfattivo molto particolare dove ritrovavo sensazioni quasi marine di iodio e alghe. Sorso intenso, fresco e dalla lunga scia salata. P.s: l'annata 2014 dello stesso vino invece mi ha un po' deluso visto che risultava troppo "ridotta" per i miei gusti.

Foto: Andrea Federici

Maccario Dringenberg - Rossese di Dolceacqua Superiore Posaù “Biamonti” 2014 - Il VINerdì di Garantito IGP


Da vecchie vigne poste nella parte superiore del vigneto Posaù, è un vino col quale Giovanna Maccario trova la quadratura del cerchio attorno l’equilibrio e la piacevolezza assoluta del Rossese

Passato, presente e futuro del'Est! Est!! Est!!! di Montefiascone

L'Est!Est!!Est!!! di Montefiascone pochi giorni fa ha festeggiato, col neonato Consorzio di Tutela, i suoi primi 50 anni e l'evento, grazie alla partecipazione di politici, produttori e giornalisti, è servito a fare il punto sullo stato di salute di questa storica denominazione del Lazio i cui natali si fanno risalire al 1966 quando, subito dopo la Vernaccia di San Gimignano, viene riconosciuta DOC (nello stesso anno, ma a seguire, anche l'Ischia e il Frascati diventano denominazioni ad origine controllata).


La domanda che tutti, ma proprio tutti si facevano durante il convegno svoltosi nella storica Sala Innocenzo III della Rocca dei Papi di Montefiascone era la seguente: ma questo vino è buono e concorrenziale oppure no?

Fortunatamente la risposta data, soprattutto dagli stessi produttori che per l'occasione erano rappresentati da Riccardo Cotarella (Falesco), è stata realistica ovvero l'Est!Est!!Est!!! di Montefiascone non gode di ottima salute sia per la qualità media del prodotto sia per la politica dei prezzi di vendita che di certo non forniscono lustro a questa DOC che spesso la ritroviamo nei supermercati tra le offerte del mese assieme ad altri vini di dubbio pregio.

Il lago di Bolsena

Forse, dopo 50 anni, si è capito che il medico pietoso fa la ferita infetta e, a ben vedere, la svolta, forse definitiva, gli stessi produttori aderenti al Consorzio (Antica Cantina Leonardi, Bigi, Cantina di Montefiascone, Cantina Stefanonu, Falesco, Mazziotti, Villa Puri) la possono ricercare nello stesso disciplinare di produzione che con piccole ma sostanziali modifiche potrebbe riportare in vita un vino che, visto il terroir di appartenenza, non avrebbe da invidiare nulla agli altri grandi bianchi italiani.

Spulciando un po' tra il regolamento di produzione dell''Est!Est!!Est!!! di Montefiascone la prima cosa che salta all'occhio è rappresentata dalla base ampelografica del vino che è frutto di un blend di trebbiano toscano, localmente detto procanico dal 50% al 65%, trebbiano giallo, localmente detto rossetto dal 25 al 40% e malvasia bianca lunga e/o malvasia del Lazio dal 10 al 20%. In questo ambito siamo proprio sicuri che queste percentuali e questi vitigni diano il massimo valore aggiunto al vino? Attilio Scienza, ad esempio, anch'esso intervenuto al convegno, non ne era sicurissimo e ha chiesto ai vignaioli presenti di selezionare sempre di più i vitigni migliori puntando, ad esempio, sulle caratteristiche del rossetto che ultimamente, vinificato da solo, ha prodotto risultati eccellenti i quali vanno presi sicuramente in considerazione per una eventuale modifica dell'articolo 2 del disciplinare (base ampelografica).

Il convegno con Cotarella

A mio modesto parere, se di svolta qualitativa si deve parlare, le modifiche più urgenti andrebbero fatte senza dubbio all'interno dell'articolo 4 del disciplinare (Norme per la viticoltura) che ad oggi recita così:

Est! Est!! Est!!! di Montefiascone: produzione uva tonn/ettaro 13,00; titolo alcolometrico volumico naturale minimo: 10,00.

Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Classico e Spumante: produzione uva tonn/ettaro: 11,00; titolo alcolometrico volumico naturale minimo: 10,50.

Nelle annate particolarmente favorevoli i quantitativi di uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Est! Est!! Est!!! di Montefiascone» nelle diverse tipologie previste, devono essere riportati nei limiti di cui sopra, attraverso un'accurata cernita delle uve, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, fermi restando i limiti resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi.

Siamo davvero sicuri, ma proprio sicuri sicuri, che una resa per ettaro di questo tipo, che genera conseguentemente livelli di alcol risibili, quasi da birra, sia adatta ad un vino di qualità? Non dico di dimezzare ma già ridurre le quantità/ettaro del 20/25% garantirebbero sicuramente un prodotto di maggiore pregio e sostanza con conseguente allineamento dei prezzi che oggi, lo ripeto, sono abbastanza simili a quelli di un buon vino da tavola.


Cari amici vignaioli, il futuro dell'Est!Est!!Est!!! di Montefiascone è nelle vostre mani e a nulla serviranno le sbandierate strategie di alleanza e comunicazione se poi il vino non è all'altezza del vostro straordinario territorio che, lo ricordo ancora, si sviluppa attorno al vulcanico lago di Bolsena la cui influenza climatica, caratterizzata da forti escursioni termiche tra giorno e notte, è garanzia di uve ben mature e ricche di profumi e sapori.


Perchè non sfruttare questo tesoro di cui vi circondate ogni giorno? Questo percorso verso l'eccellenza è ancora duro ma se anche Attilio Scienza e Carlo Hausmann (Assessore Agricoltura Regione Lazio) vi spronano a migliorare le tecniche produttive e a lavorare sul concetto, ancora lontano, di zonazione, significa che è tempo di cambiare e rimboccarsi le maniche evitando, come ha sostenuto anche Daniele Cernilli, di adagiarsi troppo sulla leggenda di Defuk** che non dovrebbe essere l'unico volano di vendita per l'Est!Est!!Est!!! di Montefiascone.

Un grande vino da queste parte si produceva (forse) ai tempi di Enrico V di Germania (1111 d.C.) e si deve continuare a farlo anche ai giorni nostri. Ora o mai più.

Monteverro: la linea sottile che collega Capalbio a Bordeaux

La scusa era quella di intervistare Michel Rolland, uno dei consulenti dell'azienda, ma in realtà il mio viaggio fino a Cabalbio, Maremma Toscana, aveva come unico scopo quello di placare la mia grande curiosità sull'azienda Monteverro di cui in molti mi aveva parlato in passato in modo entusiastico.


E' un a bella mattina di primavera quando, oltrepassando il grande cancello di entrata, veniamo accolti da Georg Weber e sua moglie Julia che, sorridenti e un filo emozionati, ci aspettano ai piedi di una scalinata dove fa bella mostra di sé la statua di un cinghiale, re incontrastato della Maremma, la cui presenza è così tenace in questo territorio da avere dato il nome a Monteverro, dove “verro” da queste parti è sinonimo di cinghiale maschio.

 


L'azienda, di recente costituzione, è nata solo nel 2003 quando Georg Weber, tedesco di Monaco di Baviera e discendente di una importante famiglia dedita alla commercializzazione di articoli da giardino, decide di investire in questo delizioso angolo di Toscana con l'intento di perseguire il suo sogno da wine lover ovvero ricreare nel nostro Paese vini che potessero competere con i grandi Bordeaux che, quando era studente Mba in Svizzera, gli rapirono cuore e anima. Georg, incoraggiato dalla sua famiglia, cominciò pertanto ad effettuare tutta una serie di analisi e valutazioni tecniche dei migliori terroir del mondo, da Bordeaux fino alla Napa Valley passando per Australia e Bolgheri per cercare il posto perfetto che alla fine, dopo tre anni di intenso lavoro preliminare, prese le forme dell'areale di Capalbio perchè, come ama spesso ripetere, a parità di condizioni ha preferito scegliere un territorio ancora abbastanza incontaminato dove iniziare da zero una nuova avventura.

Julia e Georg Weber - Foto:maremma-magazine.it

Con Georg e sua moglie montiamo sul fuoristrada e andiamo a fare un giro rapido di tutta la Tenuta che attualmente si estende per 50 ettari ad un’altitudine sul livello del mare che dai 30 metri sale dolcemente fino agli 80. Siamo solo a cinque chilometri dal Tirreno, all’orizzonte si staglia verso ovest la grande sagoma del Monte Argentario, mentre a sud-est è pianura, ultima propaggine di Toscana al confine con il Lazio. Tutto intorno olivi, seminativi macchia mediterranea e anche un delizioso e romantico laghetto, seminascosto dagli alberi a basso fusto, che permette di irrigare i vigneti in caso di siccità.


Oggi Georg e Julia gestiscono circa 27 ettari di vigne, tutte accorpate tra i 30 e i 70 metri s.l.m., dove prevale il Cabernet Sauvignon e, a seguire, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, Grenache e Petit Verdot e Chardonnay. Un sistema di drenaggio integrato nella vigna in fase di impianto permette al terreno di liberarsi delle acque superflue, uno dei problemi che spesso interessa i suoli argillosi nella media profondità, rischiando di alterare lo sviluppo naturale della pianta.
Alla cura del vigneto ci pensano Michel Duclos, uno dei grandi esperti di potatura, e Lydia e Claude Bourguignon, nomi di riferimento nel mondo dell’agricoltura consapevole che a Monteverro, mi confida Georg, prenderà a breve la strada del biologico certificato.


Terminiamo il giro delle vigne e, dopo aver parcheggiato il fuoristrada all'esterno di un edificio parzialmente interrato e in linea con l'ambiente circostante, iniziamo il giro della cantina che parte con la scoperta della zona di raccolta delle uve che dopo la vendemmia, che inizia generalmente ad agosto con lo chardonay, sono sottoposte a raffreddamento e, successivamente, poste su due tavoli di cernita nell’ampio corridoio che porta alla tinaia, in cui sono presenti 45 vasche di fermentazione da 50 ettolitri ciascuna dove ogni singolo appezzamento viene suddiviso in micro parcelle secondo il grado di maturazione delle uve e delle loro diverse caratteristiche organolettiche, che a loro volta dipendono dalle differenze pur relativamente sensibili del terreno. 


Al termine della fermentazione, svolta tramite l'uso di lieviti indigeni e attraverso l'ausilio anche barrique aperte, il vino, attraverso il principio di gravità,  passa per caduta all'interno della maestosa cantina di maturazione dove sono presenti 500 barrique e due grandi serbatoi ovoidali in cemento che nel 2010 Matthieu Taunay, il giovane enologo aziendale con studi in Borgogna e Champagne, ha voluto acquistare per conservare freschezza e finezza del frutto del Syrah e del Grenache destinati al Tinata nonché dello Chardonnay. 


Giriamo un po' per la cantina, degustiamo i vari vini in affinamento direttamente dalle barrique, e alla fine ci accorgiamo che alle nostre spalle si apre una grande finestra con affaccio sulla sala di degustazione aziendale dove tutto il team di consulenti enologi di Monteverro, composto oltre che da Matthieu Taunay anche da Michel Rolland e Jean Hoefliger, sta lavorando ai tagli dei vari vini rossi dell'azienda che ben presto andremo a degustare assieme ai due bianchi a base di vermentino e chardonnay.


Passano dieci minuti e con Georg raggiungiamo questi guru dell'enologia mondiale che, terminato il loro lavoro da alchimisti, ci aspettano per degustare tutti assieme le nuove annate dei vini di Monteverro la cui prima vendemmia risale al 2008.


Come preannunciato partiamo dai bianchi e il primo vino che ci viene versato è il Vermentino di Monteverro 2014. Figlio di una vinificazione in acciaio e di un affinamento per sei mesi sulle fecce è un vino estremamente fresco e diretto e dalla beva compulsiva grazie alla sua acidità "agrumata" che lo rende perfetto nell'accompagnamento di prodotti ittici. Noi, ad esempio, lo abbiamo abbinato alla frittura di calamari e ci stava benone!


Il Monteverro Chardonnay 2013 viene invece affinato per 14 mesi in barrique di rovere francese (50% della produzione con 40% di legno nuovo) mentre l'altra metà viene messa a riposare in cemento nei tipici contenitori a forma di uovo che abbiamo visto in precedenza in cantina. Lo stile di questo vino ricalca molti bianchi della Borgogna: naso giocato su aromi di frutta gialla matura, vaniglia e nocciola tostata mentre al palato di conferma di classe ed equilibrio con una netta nota marina che va a confondersi con suadenti note speziate ed affumicate. 


Passiamo al primo rosso della gamma che prende il nome di Terre di Monteverro che degustiamo nell'annata 2013 e 2012. Frutto di un blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, questo rosso viene fermentato in acciao e barrique e affinato per 20 mesi in legno piccolo di cui il 60% di primo passaggio. L'annata 2013 del Terre di Monteverro si caratterizza per una bella freschezza di base esaltata da aromi di macchia mediterranea e fiori rossi di campo. Al gusto è vibrante, teso e di buona sapidità. 


Il 2012, invece, si fa notare per la sua struttura e il suo stile maggiormente fruttato. Sorso caldo, di grande equilibrio e dotato di tannino finemente estratto che regge alla grande un finale pulito e di grande eleganza.


L'altro rosso prodotto da Georg è il Tinata, degustato sempre nelle annate 2013 e 2012, che rappresenta il frutto di un blend di Syrah (70%) e Grenache (30%) piantati all'interno di una piccola parcella di vigneto adiacente un bosco composto con al centro una vecchia quercia centenaria. L'uva, una volta pressata, viene fermentata in acciaio e barrique e il vino, una volta ottenuto, viene affinato 16 mesi in barrique di rovere francese per il 70% della produzione mentre per il restante 30% è prevista una maturazione in cemento all'interno degli ormai già visti contenitori a uovo. 


Il Tinata 2013 si caratterizza per la sua anima mediterranea e per un sorso contraddistinto da scorrevolezza e leggiadria  mentre il Tinata 2012, seguendo le stesse sorti del Terre di Monteverro pari annata, ha un corpo più imponente dove spezie nere, tabacco e erbe aromatiche definiscono un quadro aromatico molto coinvolgente. La bocca è avvolgente, il tannino rotondo e ben integrato e la freschezza e la sapidità del vino ben supportano un finale caldo e decisamente persistente. Piccola curiosità finale: questo vino è una dedica di Georg Weber a sua madre, Cristina detta Tina, grande appassionata di Syrah.


Mentre scambio qualche parere con Rolland sui vini finora bevuti, sperando che il mio francese sia meglio del suo inglese, arriva in degustazione il Monteverro, il vino bandiera dell'azienda che, in linea più che teorica, rappresenta quel vino in stile bordolese che Georf aveva in mente di produrre fin da tempi del suo master in Svizzera. Questo rosso, frutto di un'abile cuvée di uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, rigorosamente selezionate in fase di vendemmia e provenienti dalle migliori parcelle della tenuta. La fermentazione avviene in acciaio inox e barrique e il vino, una volta ottenuto, viene affinato per 24 mesi in legno piccolo di rovere francese di cui l'80% è di primo passaggio. 


Il Monteverro 2013 è decisamente accattivante grazie alle sensazioni di ciliegia nera, confettura di more, cardamomo, china e sottobosco che vanno a disegnare un corredo olfattivo di morbidezza e soavità che riscontro anche bevendo questo vino che avendo una grana tannica di tutto rispetto, avvolge il palato come una sciarpa calda e carezzevole. La persistenza finale è lunghissima e speziata.


Il Monteverro 2012 ha invece il passo più scattante e una armonia strutturale decisamente sopra la media. Niente muscoli perciò, ma tanta eleganza e freschezza grazie ad una sapiente gestione del legno che regala suggestioni di spezie nere, erbe aromatiche, fiori secchi e lavanda mentre al sorso la preziosa e finissima intelaiatura tannica viene perfettamente orchestrata dalla squillante sapidità e dalla freschezza del vino che rende la beva assolutamente compulsiva.


Termino la visita a Monteverro con una bella intervista a Michel Rolland che potete leggere a questo link e con una promessa: rivederci tutti assieme almeno una volta l'anno per valutare la crescita qualitativa di questi vini che, pur non essendo alla portata di tutte le tasche, rappresentano sicuramente una eccellenza tutta italiana da esportare nel  mondo.



Prosit! 


Moscato d'Asti 2015 Paolo Saracco - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Ho un debole per questo vino, ogni tanto ne parlo.
Che volete farci, mi piace.




Lo bevo, freddo (l'eccezione che conferma la regola) con la torta di mele, ed è un matrimonio classico, ma anche come aperitivo, col prosciutto crudo.


Poco alcol, tanto frutto, ondate di freschezza.


La gioia del Moscato d'Asti.


Lugana, vent’anni e non sentirli – Garantito IGP

di Angelo Peretti

Tenuta Roveglia, la proprietà della famiglia Zweifel-Azzone a Pozzolengo, è una delle migliori e più note realtà del mondo produttivo del Lugana, a sud del lago di Garda, sulle argille. Conosco bene anche il potenziale d’invecchiamento dei bianchi che si ottengono da quelle parti. Sono stato tra i primi a scriverne. Di recente della longevità dei Lugana che si fanno alla Roveglia ho avuto ulteriore conferma in una verticale cui mi ha dato l’opportunità di partecipare Paolo Fabiani, che da lungo tempo gestisce quelle vigne.


In particolare, ho trovato riscontro della bellezza per così dire contrastante di due annate tanto dissimili tra loro come il 1996 e il 2003.
Del 2003 credo che quasi tutti ricordino la torrida estate, che ha dato in genere uve stramature povere d’acidità e vini che faticano a tenere il passo del tempo. Ebbene, in Lugana si fecero invece dei bianchi che seppero mantenere tensione, e ancora adesso, pur talvolta vagamente anomali nei toni fruttati, sanno dire la loro.

Il 1996 fu al contrario stagione fresca e piovosa, e ci fu anche precchia grandine, e tutto questo s’è tradotto in vini che erano in origine quasi scorbutici, per rivelarsi poi bellissimi con gli anni. In Lugana la ritengo la migliore annata che io abbia avuto modo sin qui di testare, con bottiglie di giovinezza tuttora assoluta.
Adesso dico dei vini assaggiati alla Tenuta Roveglia. Sono le bottiglie “base”. Fino a qualche anno fa il vino si chiamava solo Lugana, ora s’è aggiunta la dicitura Limne, ma è sempre il loro “base”.


Vado in ordine di assaggio.

Lugana Limne 2010 Tenuta Roveglia
Cominciano già ad affiorare quelle note d’idrocarburi che conosco nei Lugana che invecchiano. Fu annata calda, il 2010, e sotto il frutto tropicale affiora qualche vena di stanchezza, ed è il prezzo da pagare. In più, ho dubbi sulla tenuta del tappo, per entrambe le bottiglie aperte.
(78/100)

Lugana 2008 Tenuta Roveglia
Che bello quel frutto giallo intersecato da rinfrescanti memorie balsamiche e officinali, e ci trovo la mentuccia, il finocchietto, e poi il cedro. Ma c’è anche tanto sale, assolutamente gardesano, assolutamente luganista. Sottili le venature minerali, che usciranno.
(88/100)

Lugana 2005 Tenuta Roveglia
Il frutto tropicaleggia, con quelle note d’ananasso e di mango, e compare netta la pietra focaia in un gradevole mix. C’è tuttavia una traccia vanigliata e la presenza acida non è in particolare spolvero, il che mi fa dire d’una bottiglia ormai quasi a fine corsa, ed è un peccato.
(82/100)

Lugana 2003 Tenuta Roveglia
Ho chiesto io d’aprirlo questo 2003, sostenendo come a mio avviso quella fosse stata annata dei miracoli in Lugana. Ho vinto la sfida, ché è vino davvero bellissimo. Ha spettacolare sapidità e un frutto che quasi si mastica e tracce d’idrocarburo. Un grande Lugana d’annata calda.
(90/100)

Lugana 2002 Tenuta Roveglia
Acidissimo, certo, com’è caratteristica d’una vendemmia piovosa e grandinata come quella del 2002. D’accordo, il vino fatica a prendere il volo, e sembra un po’ piccolino dopo l’opulenza del 2003, ma non c’è parvenza di stanchezza e la sapidità è fascinosa. Esile, ma piacevole.
(85/100)

Lugana 1996 Tenuta Roveglia
Eccolo qua, il ’96. Per l’ennesima volta ho avuto riprova della grandezza di quest’annata in terra luganista. Verdolino nel colore (a vent’anni!), somiglia quasi a un Riesling tedesco con quella freschezza, quel sale, quel frutto giallo, quel kerosene. Bianco austero e splendido.
(92/100)

Il gusto digitale del vino italiano 2016 ovvero come si muovono on line le maggiori aziende vitivinicolo italiane

Continua il percorso della digitalizzazione del settore vinicolo italiano con progressi su info design dei siti, territorialità e contenuti video mentre rimangono aree di miglioramento su e-commerce, ottimizzazione dei contenuti (SEO), storytelling e gestione qualitativa dei canali social.

Questi in sintesi i risultati della terza edizione della ricerca condotta da FleishmanHillard, società di consulenza strategica in comunicazione attiva con 85 uffici in oltre 30 Paesi, che ha analizzato nel mese di aprile 2016 la presenza e le attività online delle prime 26 aziende vinicole italiane per fatturato secondo l’ultima indagine Mediobanca.

Tra le novità principali emerse dalla ricerca interessante come il 33% delle aziende abbia migliorato negli ultimi 12 mesi la fruibilità dei propri siti grazie a info design rinnovati e pensati sempre più per clienti internazionali. Oggi 24 aziende su 26 offrono informazioni e percorsi di navigazione almeno in due lingue.
Altro aspetto degno di nota è che ben il 53% (18% nel 2015) lega la comunicazione del prodotto al territorio di appartenenza introducendo anche riferimenti a enoteche locali e percorsi esperienziali. Infine, in uno scenario social più quantitativo che qualitativo, diventano più frequenti (+10%) gli aggiornamenti dei canali YouTube mentre l’e-commerce proprietario è ancora utilizzato da pochi (2 su 26, come nel 2015).

Per l’edizione 2016 si conferma sul gradino più alto della classifica Compagnia De’ Frescobaldi, seguita da Mezzacorona che raggiunge la seconda posizione, Masi Agricola che si conferma al terzo posto mentre P. Antinori s’insedia al quarto. Chiude la top5 Cavit Cantina Agricoltori


I trend messi in luce dall’analisi dei principali attori del comparto – che secondo Coldiretti ha raggiunto nel 2015 il valore record di 9,7 miliardi di euro per effetto soprattutto delle esportazioni che hanno raggiunto il massimo di sempre a 5,4 miliardi – evidenziano che:

1.       La presenza sui social media è più quantitativa che qualitativa

1.1   Le aziende analizzate mostrano un presidio in lieve crescita quantitativa dei principali social network: conduce la classifica Facebook, utilizzato da 19 aziende su 26 (+2 rispetto al 2015), seguito dalle 18 di YouTube (+1) e le 13 di Twitter (+1). Instagram vede la presenza di 8 aziende delle 26 prese in esame, in aumento rispetto lo scorso anno (+2).

1.2   Da un punto di vista qualitativo, l’analisi della frequenza di aggiornamento ha evidenziato un calo per Facebook e Twitter. Nello specifico il 68,4% delle aziende con un account ha postato contenuti negli ultimi 7 giorni contro il 76% del 2015, per Twitter invece il 31% delle aziende con un account ha twittato quotidianamente contro il 66% del 2015. Per YouTube, interessante come il 27,7% delle aziende con un account ha pubblicato video nell’ultimo mese contro il 17,6% del 2015 mentre il 70% delle aziende che possiedono un account Instagram aggiorna i contenuti con cadenza almeno settimanale.

1.3   Wikipedia, spesso tra i primi risultati offerti ai navigatori dai motori di ricerca, risulta ancora scarsamente utilizzata, solo da 3 aziende su 26. Le voci Wikipedia spesso possono avere un ruolo importante per completare le informazioni su azienda, prodotti e territorialità.

2. Le aziende hanno investito nell’info design dei propri siti, riconoscendo questo strumento come fondamentale per garantire una migliore fruibilità dei contenuti e una navigazione semplice e intuitiva.

2.1   Il 33% delle aziende censite ha migliorato negli ultimi 12 mesi l’info design dei propri siti consentendo un migliore incontro tra brand e consumatori. Tutti i siti sono fruibili da dispositivi mobile.

2.2   Aumenta sensibilmente - dal 18% del 2015 al 53% del 2016 - il riferimento al territorio, inclusi enoteche, degustazioni e canali commerciali consigliati.

2.3   In particolare, le aziende di Trentino Alto Adige, Toscana, Veneto e Piemonte si sono focalizzate sulla trasformazione del percorso di acquisto in una vera e propria esperienza del vino, vissuta non più come sola degustazione ma come vero e proprio turismo enogastronomico.
  
3. Lingue, SEO e E-commerce

3.1   Quasi tutte le aziende (24 su 26) presentano contenuti fruibili in almeno 2 lingue. Italiano, Inglese e Tedesco quelle più utilizzate. Solo 1 azienda offre contenuti in cinese.

3.2   Non migliora, anzi peggiora leggermente, il numero di “link-in” (cioè di siti esterni che rimandano al website aziendale) mentre rimangono invariati i Page-rank. Entrambi sono importanti in ottica SEO (Search Engine Optimization).

3.3   Le piattaforme e-commerce dirette sono ancora per pochi (2 su 26), dato invariato rispetto al 2015.

“La ricerca 2016 conferma il lento ma costante passaggio al digitale del comparto vino, con passi in avanti su info design dei siti, riferimenti al territorio e utilizzo video mentre rimangono aree di miglioramento su e-commerce, ottimizzazione dei contenuti in ottica SEO e gestione qualitativa dei canali social” – afferma Massimo Moriconi General Manager & Partner di FleishmanHillard Italia.

“Uno tra gli aspetti più interessanti dello studio è il costante aumento d’indicazioni da parte delle aziende vinicole circa enoteche e percorsi di degustazione consigliati, vale a dire momenti e luoghi capaci di massimizzare l’incontro tra brand e consumatori. Questo è un punto particolarmente importante in questa fase della digitalizzazione del vino italiano poiché controbilancia uno scenario e-commerce caratterizzato invece da pochissimi brand che se ne occupano direttamente e da molti intermediari” continua Moriconi.

“In futuro, potremmo assistere a uno sviluppo digitale del settore vinicolo in linea con quanto già avvenuto in altre industry strategiche del made in Italy. Nella moda, ad esempio, i brand nel tempo hanno saputo integrare con canali e-commerce proprietari le piattaforme multimarca su cui hanno iniziato a vendere online. Per il vino siamo all’inizio del percorso ma proprio per le potenzialità che nascono dal legame tra prodotto ed esperienza del territorio, si moltiplicherebbero le opportunità di sinergie digitali”, conclude Moriconi.

Note metodologiche
I risultati della classifica derivano dal punteggio assoluto raggiunto da ogni azienda e calcolato su variabili generali e specifiche relative a: presenza e utilizzo di piattaforme online, tra cui Facebook, Youtube, Twitter, Instagram, Pinterest, sito mobile, e-commerce e Wikipedia; numero di fan/iscritti/follower sui 4 principali canali social Facebook, Youtube, Twitter, Instagram; frequenza di aggiornamento dei propri profili social; visibilità nei motori di ricerca, Look & Feel dei siti, ruolo della territorialità online e sito multilingua.
Periodo di riferimento per l’analisi: 11 – 22 aprile 2016

Note tecniche:
-          Google Page Rank è un algoritmo di analisi secondo il quale Google attribuisce un peso numerico (dallo 0 al 10) ad ogni pagina web che indicizza; 
-          i link–in sono i link esterni che rimandano al proprio sito, il cui valore è dato sia dalla quantità dei link ricevuti che dalla rilevanza qualitativa delle pagine che offrono il link.