ITALIA - SVIZZERA: un gemellaggio in nome del grande vino

Ciao a tutti. Iniziamo da oggi un gemellaggio con degli amici del canton ticino che come me condivinono la filosofia del vino di qualità e non standardizzato. Ci sarà uno scambio di articoli che avrà lo scopo di permettere al mio blog e al loro forum di crescere culturalmente. GRAZIE

Questo il loro biglietto da visita:

Amanti del vino da parecchi anni, abbiamo voluto creare un sito web e “IL CLUB NONSOLODIVINO“, prima di tutto per far piacere a noi stessi e, senza essere troppo presuntuosi, a tutti quelli che come noi amano l’eno-gastronomia. Uno degli obiettivi è, di permettere ad un grande numero di appassionati di accedere a dei consigli sul mondo del vino e del suo abbinamento con il cibo, di informare e nel limite del possibile di educare. Il modo migliore per condividere con noi il vostro entusiasmo è quello d’iscrivervi gratuitamente ad “Il Club”; questo vi permetterà di essere informati su gli eventi organizzati e ricevere aggiornamenti. La nostra idea è quella di valorizzare le zone viticole più rappresentative e i viticoltori in grado di esprimere al massimo le caratteristiche territoriali delle singole zone. Vini ottenuti con tecniche agricole ed enologiche che esaltano l’impronta del vitigno, del territorio e la personalità del produttore. La standardizzazione sta generando vini simili in ogni angolo del pianeta, appiattiti nel carattere e incapaci di sfidare il tempo…

Stefano Ghisletta & Giorgio Buloncelli (sommeliers per passione)

Commenti.............


Ricordo che sul blog è possibile lasciare qualsiasi tipo di commento.

Accetto tutto tranne quelli negativi.............

Seriamente mi fa piacere sapere da chi legge cosa ne pensa del blog e come si può migliorare

Grazie

Andrea

Contessa Entellina "Mille e una notte" 2003


Nomini Donnafugata e subito ti vengono in mente il sole e il mare della Sicilia.

Nomini "Mille e una notte" e subito ti viene in mente il territorio di Contessa Entellina, dove la natura, un microclima unico e il lavoro dell'uomo creano dei vini di ottima qualità. Qui ci sono le cantine e i vigneti cuore dell'azienda.

Il nome Donnafugata, letteralmente “donna in fuga”, fa riferimento alla storia della regina asburgica Maria Carolina, consorte di Ferdinando IV di Borbone, che ai primi dell’800 fuggì dalla corte di Napoli per l’arrivo delle truppe napoleoniche di Murat e si rifugiò in Sicilia, nel cuore del Belice. Fu lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo famoso romanzo Il Gattopardo, ad indicare con il nome di Donnafugata quei possedimenti di campagna del Principe di Salina ed in particolare il palazzo di Santa Margherita, luogo di alcune scene salienti del romanzo. Questa vicenda così legata al territorio in cui si trovano i vigneti di Donnafugata, ha ispirato l’effige della testa di donna con i capelli al vento che campeggia su ogni bottiglia e l’illustrazione dell’etichetta del Mille e una Notte.

Il Contessa Entellina "Mille e una notte", la cui prima annata prodotta risale al 1995, è un vino composto da nero d'avola al 90% mentre il restante 10% è un composto di altre varietà autoctone (il sito aziendale non chiarisce di quale uve si tratti anche se sarebbe doveroso per questione di trasparenza).
Potremmo dire che è un vino che esprime un territorio in quanto espressione dei principali vitigni siciliani di cui il nero d'avola, nel bene o nel male, rappresenta la massima espressione.

Non si sa quando i vigneti coltivati a nero d'avola siano “sbarcati” sull'Isola; il nome sembrerebbe derivare dall'erronea traduzione del dialetto siciliano “calaurisi”, risultante dall'unione delle parole “calea” - ovvero uva - e “aulisi”- di Avola, borgo della provincia di Siracusa. Un'ipotesi avanzata sul nome nero d'avola , rimanda all'accezione “cala-brese”, la cui origine sarebbe da contestualizzare in tempi molto remoti e da ricondurre a motivi commerciali. In passato, infatti, gli esportatori di vini siciliani in Francia trovavano più facile venderli come vini calabresi, giacché i vini prodotti in questa regione godevano di una maggiore notorietà. Ma già alla fine dell'800 i vini rossi da uve nero d'avola, provenienti dal territorio siracusano e, in particolare, da Pachino, erano divenuti molto richiesti e apprezzati dagli stessi commercianti Francesi, che li usavano per dare colore e corposità ai loro vini.
Ed è solo a partire dagli anni '70 del secolo scorso che inizia, finalmente, una seria sperimentazione su questo vitigno: condotta tanto da Istituti pubblici, quanto da aziende private, al fine di studiare e alla valorizzare questo vitigno essa è culminata nella nascita della pregiata bottiglia di vino Duca Enrico 1984.
Oggi la situazione è cambiata radicalmente: l'uva nero d'avola è ormai diffusa in tutta la Sicilia, con circa 12.000 ettari di terreno dedicati a questa varietà, sebbene il territorio d'origine, definito dalle località di Eloro, Pachino e Noto, in provincia di Siracusa, ne possegga le maggiori estensioni.

Torniamo al nostro Contessa Entellina "Mille e una notte" 2003. L'annata, secondo quanto riportato dal sito aziendale, è stata, rispetto alla 2002, molto più piovosa e questo fatto ha decisamente favorito la maturazione zuccherina e fenolica delle uve. Le buone temperature diurne, mitigate da quelle più fresche delle notti delle colline di Contessa Entellina, hanno dato vita ad una straordinaria eleganza. In cantina, terminata la malolattica, il vino è stato ripartito in barrique di rovere francese di 14 tipologie differenti. L’affinamento è stato caratterizzato, alla maniera bordolese, dalla sosta del vino sulle fecce nobili fino al primo travaso.

Alla vista il vino si presenta di un rosso rubino impenetrabile, profondo e passionale come i colori di questa regione fantastica.
Al naso veniamo subito avvolti da una piacevolissima nota di eucalipto seguita da classici sentori di frutta matura (mora in prevalenza). Alla seconda olfazione escono le note floreali di violetta seguite da un tocco lieve di chiodi di garofano e qualche accenno di vaniglia,segno di un legno non ancora ben assorbito.
In bocca si allagarga subito, con tannini che si mostrano vivi, non esemplari come finezza, ma che si fondo in pieno equilibrio con l'alcol. Vino di estrema freschezza grazie alla grande spalla acida che è la vera sorpresa di questo vino, una caratteristica che lo rende di piacevolissima beva. Finale di media lunghezza.

GIUDIZIO FINALE: sicuramente un vino ben fatto, da abbinare su carni rosse o sughi molto speziati, ma che dovrebbe costare meno dei suoi trenta/trentacinque euro allo scaffale. A quel prezzo la concorrenza è tanta, forse troppa ed impietosa........

Post a cura di Andrea Petrini e Stefano Barberini
L'immagine dell'etichetta del vino è stata presa dal sito donnafugata.it

LA PASSIONE NASCE A MONTEVERTINE

Tre amici una macchina e via, Montevertine ci aspetta. La strada che ci conduce da Martino Manetti è fantastica, davanti a noi solo colline sinuose, vigneti e piccoli casali.
Il Chianti è stupendo e il suo paesaggio vale da solo il viaggio.
Sono le 11.30 di un sabato di febbraio e a 425 metri di altezza il freddo è pungente, ma l’emozione di degustare di lì a poco una grande verticale di Pergole Torte ci scalda il cuore.

Salendo su verso l’agognata metà si incontrano i vigneti aziendali che oggi ammontano a circa 13 ettari, divisi nelle seguenti zone:

LE PERGOLE TORTE, piantata nel 1968, superficie 2 ha, esposizione N-NE;

MONTEVERTINE, piantata fra il 1972 e il 1982, superficie 2,5 ha, esposizione SE-S;

IL SODACCIO, piantata nel 1972 e successivamente reimpiantata totalmente nel 2000, superficie 1,5 ha, esposizione SE;

IL CASINO, piantata nel 1999, superficie 2 ha, esposizione SSELVOLE, piantata nel 1997, superficie 3,5 ha, esposizione SE-SPIAN DEL CIAMPOLO, piantata nel 2003, superficie 1,5 ha, esposizione O-NO

Il sito aziendale riporta inoltre che il Sangiovese costituisce circa il 90% del totale delle viti piantate. Il restante 10% è costituito da Colorino, Canaiolo e Malvasia Bianca. La densità di impianto è di 5000 viti per ettaro nei vigneti piantati a partire dal 1997 e di 3200 per ettaro in quelli precedenti.

Arrivando, il nostro padrone di casa ci aspetta davanti alla cantina, prima tappa del nostro tour della fattoria. Entrando si notano subito le botti utilizzare per la produzione del Pian del Ciampolo, il Montevertine e per alcuni passaggi del Pergole Torte che viene affinato nella barricaia presente al piano inferiore.








Risaliamo le scale e Martino ci porta nella stanza delle meraviglie: un “caveau” che contiene la memoria storica di Montevertine, dai vecchissimi Chianti impolverati, alla verticale completa di Pergole Torte con le bellissime etichette disegnate dal pittore Alberto Manfredi, compresi tutti i maxi formati di tutte le tipologie di vino.
Là dentro c’è tutta la passione di Sergio e Martino Manetti e un bel pezzo di storia del Chianti, passato, presente e futuro.











Nella sua bellissima e accogliente casa Martino ha preparato una saletta solo per noi.
Le bottiglie sono già allineate sul tavolo. La storia è davanti a noi.
Pergole Torte prende il nome da un'antica vigna piantata nel 1967. Le uve, raccolte nella loro piena maturità generalmente dopo il 10 ottobre, vengono vinificate con una macerazione prolungata e continui rimontaggi per poi sostare due anni in legno. I primi sei mesi in barrique nuove per un terzo; i restanti diciotto in botti di rovere di Slavonia di capacità compresa tra 10 e 18 quintali.

Le annate che andremo a degustare sono la 1981, 1983, 1985, 1988, 1990 riserva, 1992.

1981

Colore granato limpidissimo nonostante l’età. Al naso è un caleidoscopio di profumi: frutta matura, ciliegie sotto spirito anzitutto. Passa qualche minuto e cominciano ad uscire le spezie dolci, qualcuno sente netta la nota di croccante o torroncino. Rimetto il naso nel bicchere e di nuovo muta il corredo olfattivo del vino: ora si avverte netta una nota di torrefazione e di cacao amaro. In bocca il vino conferma la sua immensa classe: è ricco, avvolgente, con un tannino perfettamente vellutato e supportato da un’acidità prorompente. Chiude fresco e lunghissimo. Un vino che ha davanti a sé ancora tanto tempo. IMMENSO!

1983

Colore granato meno limpido del precedente ma comunque vivo. Al naso risolta più evoluto del 1981 in quanto il frutto cede subito il passo a note terziare di cuoio, goudron e ferro. Il frutto esce col tempo, ma non si percepiscono i frutti rossi, bensì una nota di arancio, succo di arancia matura. Al palato il vino è rotondo e pulito, non esplosivo ma di grande eleganza, lungo, e concluso da una bella trama tannica.

1985

Colore granato molto limpido. Rispetto ai precedenti, il vino al naso risulta più inespresso, chiuso, anche se sono comunque percettibili le note di frutta matura (ciliegie sotto spirito e prugna secca) ferro e carrube. Al gusto invece la musica cambia in quanto questo sangiovese è un campione di eleganza con un tannino di gran classe perfettamente equilibrato da un’acidità sferzante. Chiude lunghissimo e caldo su note che ricordano quanto percepito al naso.

1988

Bottiglia forse un po’ sfortunata in quanto il vino è leggermente torbido. Al naso comunque escono sentori di frutti rossi, arancia e ferro. La corrispondenza al palato del vino è buona anche se chiudo corto su note sempre agrumate. Bottiglia da riprovare in altre occasioni.

1990

Siamo di fronte alla quadratura del cerchio. Il 1990 riserva, versato da magnum, è di un colore aranciato e al naso è intenso ed estremamente complesso con note ben definite di frutta rossa matura, spezie dolci e tabacco da pipa, violetta. Come per il Pergole 1981, anche questo vino cambia continuamente all’olfatto perché, lasciandolo qualche minuto nel calice, esce una piacevolissima nota mentolata seguita da sottili effluvi minerali. In bocca il vino è una esplosione di eleganza, potenza ed equilibrio con un finale interminabile che rende questo vino uno dei migliori vini italiani degustati negli ultimi anni. Prospettive di vita? Infinite!

1992

Colore granato. Al naso parte leggermente chiuso con lievi sentori di frutti rossi maturi e una vena minerale appena accennata. Si apre un po’ col passare del tempo ma la sensazione è che rimanga un po’ inespresso. In bocca il tannino è ben integrata anche se non supportato da un’adeguata acidità. Chiude leggermente corto con un finale centrato su toni confetturati. Bottiglia non a posto?

E’ ora di andare a tavola. La casa di Martino è inondata di profumi che solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca. Seduti allegramente a tavola abbiam divorato crostini toscani, salumi casarecci, fettuccine fatte in casa al ragù, capretto allevato al forno con patate e piselli, ciacci e una serie di strepitose praline di cioccolato ripiene di
Aqua Vitae Le Pergole Torte.

Durante il luculliano pranzo abbiam stappato altre annate di Pegole Torte:

1996

Colore rubino con unghia granato. Al naso frutta matura in confettura, scorza di arancia, una leggera vena minerale. Una struttura esile ma non priva di eleganza. Al palato il vino si allarga prepotente ma rimane leggiadro con un finale di media lunghezza su note fruttate. Raffinato.

1997

Colore rubino con unghia leggermente granato. Il vino è frutto dell’annata “prepotente” con un naso opulento, vigoroso, dove le note olfattiva vanno dalla frutta nera matura, alle spezie nere con lievi soffi minerali. In bocca il è vino fresco dalla buona succosità e con un tannino un tantino "sgranato". Termina lungo. Meno elegante dei suoi fratelli maggiori.

2001

Bel colore rubino. Il vino è giovane ma ha prospettive da vero fuoriclasse. All'olfatto e' ben articolato, di un'elegante complessita', con suggestioni di viola, ciliege , confettura di lamponi, vaniglia, grafite ed erbaceo, cuoio e tabacco. Al palato presenta sensazioni di frutta rossa bilanciate da tannini morbidi che gli conferiscono profondità grande lunghezza. Un vino da bere oggi ma da aspettare per almeno un decennio per fargli acquisire ulteriormente quella eleganza che lo proietterà tra i migliori sangiovese di pari annata.

La rivincita del Piave: verticale di Raboso Gelsaia


Breve storia del vitigno

Il raboso è un vitigno autoctono del Veneto, coltivato prevalentemente nel Veneto Orientale, il cui nome deriva molto probabilmente da rabioso, termine che sta ad indicare il carattere del vitigno dove tannini e acidità sono le peculiarità più importanti.
È un vitigno molto rustico che si adatta a tutti i tipi di terreno. Ha grappolo grande e allungato, di forma cilindrica, con un'ala, solitamente ben compatto. L'acino è medio, di forma ovoidale con buccia di colore blu-nero, pruinosa, coriacea, spessa. Polpa sciolta, acidula. A causa, forse, del suo patrimonio genetico rustico, il Raboso è stata una delle poche varietà a passare quasi indenne attraverso il flagello della fillossera, anche se ha dovuto perdere un po' di terreno a vantaggio del Cabernet e dello Chardonnay quando le vigne vennero ripiantate all'inizio del XX secolo.
Si coltivano due varietà: raboso piave, più acidulo, e raboso veronese, più amabile. Il raboso piave coltivato nella provincia di Padova spesso viene denominato friularo, dal suo antico luogo di origine, il Friuli. I nomi "piave", "veronese", "friularo" indicavano anticamente il luogo di coltivazione, attualmente solo il tipo di uva.

L'azienda

Una lunga tradizione unisce da sempre la famiglia Cecchetto alla coltivazione della vite e alla produzione del vino. Nell'azienda di Tezze di Piave, in provincia di Treviso, nel cuore dell'area DOC Piave, Giorgio Cecchetto, attingendo alla tradizione come risorsa dell'innovazione, è impegnato nella ridefinizione stilistica e nel conseguente rilancio del Raboso del Piave. In questa cantina si possono assaggiare diverse prove, interpretazioni, versioni, esperimenti, discutere di legni, affinamenti, vendemmie, strategie di vinificazione, appassimenti riguardanti questo vitigno della provincia trevigiana tradizionalmente incline alla spigolosità e qui interpretato secondo uno stile più moderno. Luigi Veronelli (Corriere della Sera del 14 aprile 2002) ha descritto il loro Raboso come una "fascinosa realtà, per acidità profumi e struttura".

La Verticale di Gelsaia

Nome derivante da Gelso, pianta che all'inizio del secolo scorso nel Trevigiano veniva utilizzata come tutore o sostegno della vite. Raboso del Piave realizzato, fin dall'annata 1997, con l' appassimento di una parte delle uve (circa il 30% per oltre un mese) e preso a modello per regolamentare la nascente tipologia "Raboso Piave Doc Superiore", che disciplinera' proprio la pratica dell'appassimento, compiendo cosi il primo passo per portare il Raboso Piave all'ambizioso obiettivo dell'ottenimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita, che costituirebbe la prima Docg trevigiana ed una delle poche presenti nel Veneto. Il vino viene affinato in legno nuovo e usato (barriques e tonneaux) per 12 mesi e sosta in cantina per almeno 8 mesi dopol'imbottigliamento.


La verticale di Gelsaia è stata organizzata dall'AIS Roma dove si sono potute degustare le uniche declinazioni di questo Raboso prodotto solo nelle grandi annate: 1994 – 1997 – 2000 – 2002 - 2003. Grazie all'amico e sommelier Stefano Barberini che mi ha inviato le note di degustazione, potremo confrontare le molteplice emozioni che può dare questo figlio del Piave, che in quasi dieci anni di storia ha davvero rivoluzionato e fatto rinascere il Raboso.


Il 1994, passato in botte grande, presenta un colore rubino intenso con unghia leggermente granato. Al naso prevalgono le note terziarie: tabacco, rabarbaro e cardamomo in primo piano. Note di frutta rossa matura con leggeri soffi di vaniglia, sintomo di un legno non ancora digerito al 100%. Alcol un poco invadente. In bocca il vino conferma quanto riportato di sopra. Grande acidità e tannino che, pur non essendo invadente, rimane troppo persistente. Un vino forse un pò troppo squilibrato dove le parti dure sono in evidenza. La partenza rimane comunque promettente!

Il 1997, prima tipologia di vino dove si usano barrique e botti grandi e parti delle uve appassite, presenta un colore rubino intenso con un'unghia anche qua leggermente granato a ricordarci i 10 anni di età. Accostando il bicchiere al naso possiamo notare delle note olfattive che vanno dal ribes al cacao e alla china, con dei soffi balsamici molto delicati. In bocca il vino conferma le sue caratteristiche: buona spina acidtà accompagnata stavolta da un tannino presente ma meno rustico rispetto al 1994. Chiude leggermente sapido. 10 anni e non sentirli.

Il 2000, vinificato diversamente dal precedente in quanto al vino "normale" viene applicata la tecnica del ripasso, pratia enologica che consiste nel far macerare il vino con vinacce fermentate di uve appassite. Il vino è di un bel rubino intenso con unghia leggermente granato. Al naso, rispetto ai precenti, c'è una nota più preponderante di più la frutta rossa accompagnata seguita da aromi rosa, tabacco ed eucalipto. In bocca ha buona corrispondenza con il naso, un attacco tannico e comunque equilibrato dall'alcol, corpo pieno, sapori intensi, piacevole morbidezza. Il migliore.

Il 2002, vinificato come il precedente, presenta un colore rubino molto intenso con un'unghia leggermente granato. Al naso , tra quelli in degustazione, appare il più chiuso anche se esce una nota di tabacco ed eucalipto. L'alcol è forse un pò troppo invasivo. In bocca torna la buona acidità anche se questa non equilibra come dovrebbe le parti morbide del vino. Chiusura soddisfacente con tannino forse un pò troppo polveroso.

Il 2003, anno in cui inizia la collaborazione con l'enologo Franco Bernabei, presenta un colore rubino molto intenso con un'unghia leggermente granato. All'olfatto sono prevalenti le note di gioventù del vino con una prevalenza aromatica di frutta rossa. Tornano le note mentolate ed il tabacco dolce anche se in tono minore. All'assaggio il vino presenta note molte "maschie" con un tannino in grande evidenza e con un nervo acido di tutto rispetto. Solo il tempo aiuterà questo vino a diventare un altro grande Raboso.

Scritto con la preziosa collaborazione di Stefano Barberini


Sassicaia....un mito anche automobilistico?

E io che pensavo di essere all'ultima moda con la mia RITMO TAVERNELLO!!!!
Vabbè sarò pure antico ma il Sassicaia preferisco ancora berlo.
Se invece siete tentati dal connubio "vino e motori", direttamente sal sito ufficiale http://www.minisassicaia.it/, vi riporto alcune notizie:
Da una cena a base di ottimo vino della Tenuta San Guido, nasce un'idea molto speciale, siamo lieti di presentare la Mini Sassicaia.
Il progetto è quello di unire due miti, uno del mondo del vino ed uno del mondo dell'auto con una grande storia alle loro spalle.
La Meregalli distributrice di Sassicaia è licenziataria del marchio del famoso vino, con UKGarage srl si è quindi deciso di creare partendo da una Mini Cooper S, di ultima generazione, una versione speciale dedicata al Sassicaia.
L'auto è limitata in soli 12 esemplari numerati legati all'annata 1985 del Sassicaia, la più preziosa.
Le personalizzazioni sia interne che esterne rendono ancor più esclusiva ed unica questa Mini.
Apposite areografie riproducono fedelmente l'etichetta Sassicaia 1985 sull'intero tetto della vettura, i particolari esterni verniciati impreziosiscono l'immagine unitamente a cerchi specifici da 18 pollici. La verniciatura è unica e riprende i colori dominanti del Sassicaia: il blu, l'oro e il magnolia
L'interno dell'auto, già molto ben accessoriata, è stato impreziosito da uno speciale rivestimento in pelle magnolia dal disegno a rombi con piping in blu Sassicaia interamente realizzato a mano. I ricami recano la numerazione limitata progressiva dall'1al 12, il cielo è realizzato in morbida alcantara crema, mentre i molti particolari cromati danno lucentezza all'abitacolo e il rivestimento della cappelliera e del vano bagagli sono realizzati con pelli speciali che amplificano ancora di più la sensazione di opulenza e cura dei particolari. Proprio nel bagagliaio trova posto una chicca eccezionale: un mobiletto da degustazione per il Sassicaia. Questo mobiletto rivestito in pelle blu ha, al suo interno, 2 calici in cristallo appositamente creati per la Tenuta San Guido, un tablier Sassicaia e ovviamente una bottiglia del prezioso vino.

Il Serpico: l'aglianico secondo Feudi di S.Gregorio


Breve storia del vitigno

Il vitigno aglianico sembra sia stato portato in Italia dai Greci al tempo della fondazione delle loro colonie nel 6° e 7° secolo a.C., nell'area che noi oggi chiamiamo Magna Grecia, con il nome di "Ellenicon" cioè originario della Grecia. I Romani lo ribattezzarono poi "Vitis Ellenica" e ne incentivarono la coltivazione e la diffusione soprattutto in Campania, dove la vinificazione veniva fatta prevalentemente in bianco (si pensa sia il vitigno con cui i romani producevano il Falerno). Parlando di Aglianico storia e leggenda si intrecciano con facilità: si dice infatti che dopo la battaglia di Canne (Puglia, 216 a.C.), durante la seconda guerra punica, i cartaginesi, al comando di Annibale, ripiegarono nell'attuale Basilicata per riposare e curare i feriti e che il rimedio per medicare lacerazioni e ferite altro non fosse che del buon vino Aglianico. Al periodo di dominazione spagnola (Aragonesi 15° - 16° secolo) sul regno di Napoli si attribuisce la trasformazione del nome da "Ellenico o Ellanico" in "Aglianico" in quanto essi pronunciavano la doppia l in gli. Di questo vino parleranno poi: Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo 3° Farnese ("Di tali vini Sua Santità beveva molto volentieri et dicevali bevanda delli vecchi, rispetto alla pienezza"); Andrea Bacci, medico di Sisto 5° Peretti, nel 14° secolo ne dice: "…vino ricercato e prestigioso delle mense dei ricchi" e Arturo Marescalchi lo definirà poi "il fratello maggiore del Barolo e del Barbaresco".

L'azienda

Al tempo del pontificato di Gregorio Magno (590/604 d.C) le terre del Sannio e dell'Irpinia, disposte lungo l'Appia e da sempre coltivate a vigne, costituivano il fondo sannitico del Patrimonio di San Pietro. Memoria ancora viva del Patrimonium Sanctum Petri d'età gregoriana è la denominazione " San Gregorio", con cui è indicata una contrada dolcemente collinosa, che tra il Sannio e l'Irpinia costeggia la via Appia. È qui che sorge la Feudi di San Gregorio, nata alla fine degli anni '80 dalla volontà delle famiglie Ercolino e Capaldo, espressione in chiave moderna della tradizione e della passione ormai secolare di una famiglia irpina dedita alla terra. L'azienda, situata nel cuore dell' antico Principato Ulteriore a Sorbo Serpico, è dotata di 250 ettari di vigneti aziendali, adagiati su colline comprese tra i 350 e i 600 metri di altitudine, impiantati sui più pregiati suoli della collina irpina la cui fertilità nasce da un singolarissimo matrimonio tra substrati sedimentari e ceneri vulcaniche ed è esaltata da una gestione agronomica accurata e rispettosa degli equilibri ambientali. Da questo pregiato terroir i Feudi di San Gregorio producono il "Serpico" che la famiglia Capaldo ha voluto “battezzare” con il nome del Comune che ospita le rinomate cantine aziendali.

La verticale

Il Serpico, prodotto da uve aglianico provenienti da viti centenarie, viene elevato barrique di rovere francese per un minimo di 6 mesi e successivamente viene affinato in bottiglia per almeno altri 6 mesi.
Complice la mia appartenenza alle scuderie A.I.S., il 21 Gennaio all’Hotel Parco dei Principi di Roma ho partecipato alla verticale di sei annate di questo vino alla presenza, oltre che dell'A.D. dell'azienda Marco Gallone, anche dell'enologo Riccardo Cotarella.

Le annate presentate sono state sei: 2004, 2003, 2001, 2000, 1999, 1996.

Il 2004, di un bel rosso rubino carico, presenta un naso fruttato (ciliegia matura) e floreale (viola) con note di liquerizia, spezie dolci (pepe bianco) e terra. Di bella intensità e complessità olfattiva. In bocca ha una buona armonia complessiva e si ritrova al gusto ciò che avevamo percepito all’olfatto. Bello spessore, di notevole eleganza e lunga persistenza. Il tannino è estremamente elegante ed è ben bilanciato dall'acidità. Da scordare in cantina per almeno 5/6 anni.

Il 2003, di un rosso rubino carico derivante anche dall'annata calda, presenta un naso intenso di frutta matura (prugna secca) seguito da dolci sentori di spezie velati da soffi balsamici con accenni finali di tabacco e cuoio (inizio terziarizzazione). Sorretto da notevole struttura, ha uno sviluppo armonico e in bella tensione, guidato dall’elegante trama tannica che apre le porte al finale persistente, giocato sulle note di frutta e liquerizia dolce sostenute da godibile freschezza. Pronto da bere.

Il 2001, di un rubino intenso, è davvero un fuoriclasse. Il naso è estremamente complesso con note di frutta nera, cioccolato, eucalipto e rabarbaro. Un vero caledoscopio di emozioni olfattive tali da farti portare il bicchiere al naso all'infinito. Alla gustativa mantiene le promesse con una eleganza notevole, frutto di una perfetta integrazione di tannino, alcool e freschezza. Da conservare in cantina ancora per anni oppure da bere ora per un godimento immediato.

Il 2000, di un rubino scuro, risente dell'annata calda: i profumi sono intensi e maturi, di confettura di frutti rossi. Il vino sia apre poi con note terziarie di cioccolato, caffè, gradualmente invase da sottofondo di incenso. In bocca il tannino è potente ma viene smussato da una buona acidità e sapidità. Chiude con notte fruttate e di cuoio.

Il 1999, rubino con unghia granata, presenta i profumi di chi comincia ad avere i primi capelli bianchi: sensazioni di frutta stramatura, terra bagnata, con accenni di lavanda, erbe secche e liquerizia. Alla gustativa il vino sembra "masticabile", con un tannino ben assorbito e buona acidità. Chiude lunghissimo.

Il 1996, di un bel granato, ha dei profumi che staccano nettamente rispetto ai precedenti. Al naso è selvatico, con note foxy, sensazioni di grafite, cuoio, frutta stramatura e cardamomo. In bocca dimostra di avere buona armonicità, con un tannino elegantissimo coadiuvato da una bellissima acidità. Finale pulito con note di liquerizia e mentolate. Grande persistenza.

Alberto e il vino.....

Percorsi DiVino, a pochi giorni dalla sua nascita, non poteva non rendere omaggio ad un grande attore con un pezzo indimenticabile:

Il mio primo post.....

Dovrei scrivere perchè mi è venuto in mente di iniziare un blog sul mondo del vino e dell'enogastronomia in generale.
La risposta la troverete nel titolo di questo mio diario virtuale.
Voglio iniziare un percorso di tipo emozionale che possa far comprendere a chi mi legge che anche dentro un bicchiere di vino si può trovare un mondo, un universo fatto di terra, di sole, di tradizioni e lavoro.
Spero arriveremo insieme al traguardo.
Termino queste poche righe con una dedica ad una giovane sommelier in erba:
grazie Stefy amore mio per tutta la forza che mi dai!