ColleStefano per immagini

Durante il mio ennesimo viaggio nelle Marche sono passato a ColleStefano perchè, come al solito, volevo toccare con mano la realtà dove nasce questo splendido Verdicchio di cui abbiamo testato pochi giorni fa la sua capacità evolutiva.

Cartello di benvenuto!

A casa di Silvia e Fabio!
 
 

Ad accoglierci Benedetto, il papà di Fabio!

Siamo liberi di girare tra le vigne!!

Il terreno argilloso

 L'uva due settimane fa. Molto indietro!



Per non dimenticare l'altitudine



La nuova cantina (2012)


Attualmente ColleStefano produce circa 100.000 bottiglie

Il rapporto q\p del ColleStefano..imbattibile

Bottiglie

Dopo aver fatto spesa torniamo a casa. A presto!

WineCare e le collezioni di vino diventate anonime

Il New York Times l'ha già definita "una classica storia di Manhattan": si tratta della battaglia legale avviata dall'alta borghesia newyorchese contro WineCare, una cantina di New York City che immagazzina, cataloga e si "prende cura" di più di 27.000 casse di vino, chiedendo ingenti somme mensili a chi vuole salvaguardare collezioni che valgono decine di milioni di dollari.

WineCare ha quanto di meglio un amante del vino possa desiderare: dispositivi di raffreddamento che mantengono temperatura ed umidità costanti, un sistema di videosorveglianza con 16 telecamere attivo 24 ore al giorno e un sofisticato software che traccia la posizione esatta di ogni bottiglia. C'è solo un problema: WineCare dista appena 100 metri dal fiume Hudson e, quando l'uragano Sandy nell'ottobre 2012 ha colpito New York, l'acqua ha invaso le cantine dell'azienda.

Foto: www.nydailynews.com

Poco dopo l'arrivo dell'uragano, WineCare ha inviato ai propri clienti una email rassicurante "Crediamo che almeno il 95% del vino che abbiamo in magazzino sia in buone condizioni". Peccato che molte delle bottiglie di enorme valore siano diventate anonime: per colpa dell'allagamento, hanno perso l'etichetta che accerta la loro identità. Da allora l'azienda, forse non a caso, ha negato ai suoi facoltosi clienti l'accesso alle sue cantine. E così alcuni dei più grandi collezionisti di vino di New York - tra cui Donald Drapkin, che ha stimato il valore della sua selezione di bottiglie 5,2 milioni di dollari - hanno fatto causa a WineCare. Ristoranti di alto target come "Minetti Tavern" e "Morandi" hanno chiesto un risarcimento di 3 milioni di dollari. L'azienda dal canto suo ha fatto richiesta di fallimento, proprio alla luce dei crescenti problemi legali.

Il giudice Robert E. Gerber ha per ora espresso poca simpatia per la condizione dei collezionisti di vino. "Ci sono state migliaia di vittime per l'uragano Sandy, la maggior parte di loro ha sofferto molto di più dei vostri clienti" ha detto Gerber. L'uragano Sandy, una delle tempeste più distruttive che abbia mai colpito gli Stati Uniti, ha ucciso 44 persone nella sola New York e ha distrutto oltre 300.000 case.

Articolo tratto da TM News

Gravi danni in Borgogna per i temporali e la grandine

La notizia tra noi appassionati è rimbalzata ieri pomeriggio: forti temporali accompagnati, purtroppo, da grandine hanno causato gravi danni ai vigneti di una parte della Borgogna.
Alcuni amici che attualmente sono in zona confermano il disastro.

Via twitter Caroline Parent Gros parla di vera catastrofe nella zona di Beaune ed in particolare a Pommard. Queste sono le foto scattate durante la tempesta d'acqua!


 

Questi, in particolare, sono i danni ad una vigna in zona Savigny les Lavieres



Caroline, sempre via Twitter, stabilisce che approssimativamente i danni dovrebbero essere ingenti!

  1. So far, what we see in the vineyards of Pommard, Beaune & Savigny is, at least, 75% loss. # Burgundy

Leggendo il sito Bourgogne.france3.fr  si nota che anche a Volnay i temporali hanno colpito duramente. Queste sono le foto postate da Nicolas Rossignol!!



Anche il comune di Meursault è stato colpito duramente!!

Questa è un'altra foto presa da Dr.Vino dei danni che hanno subito le vigne


Appena ho altre notizie non tarderò a postarle su Percorsi di Vino. 

Nel frattempo porgo la mia solidarietà a tutti i vignaioli colpiti. Tenete duro!

De Fermo, la rusticità come dote e non come pretesto

Loreto Aprutino, per me, è un posto speciale e non solo perchè è Terra del Maestro Valentini. In questa piccola città dell'Abruzzo è nata mia madre, 75 anni fa, per cui ogni volta che torno da queste parti, così come ho fatto lo scorso week end, è come rincasare, ritrovare parte delle mie radici.
De Fermo è l'ultima delle aziende agricole che si è insediata nel territorio portando qualità. I loro vini li avevo già provati in due fiere naturali come Cerea e Navelli, il Prologo 2010 (montepulciano in purezza) pur nella sua gioventù mi aveva colpito favorevolmente per cui mi ero promesso a breve di passare a trovare Stefano Papetti Ceroni e sua moglie Nicoletta De Fermo direttamente in azienda.
L'appuntamento è all'interno della villa storica del '700, appartenuta da sempre alla famiglia di sua moglie, dove oggi, così come allora, si trova il fulcro dell'attività agricola della famiglia che, come vedremo, non si limita solo alla produzione di vino.
Facciamo prima un giro nei vigneti cambiandoci le scarpe perchè fino al giorno prima da queste parti ha piovuto e il terreno è ancora fangoso.
L'azienda è nata ufficialmente nel 2009 e attualmente dispone di 17 ettari di vigneto composto da pecorino, circa un ettaro, chardonnay, circa 4 ettari, e montepulciano d'Abruzzo per il restante. La coltivazione segue i principi della biodinamica.

vigneto di chardonnay
montepulciano a sx e chardonnay a dx
Stefano controlla il suo montepulciano

Camminando tra i filari, lavorati una fila sì e l'altra no, Stefano mi racconta un pò della sua vita, della sua professione di avvocato che ha ormai quasi "tradito" per l'amore verso questa Terra che gli è letteralmente entrata nelle vene qualche anno fa quando assieme alla sua famiglia, un pò per gioco e un pò per staccare dallo stress cittadino, ha cominciato a curare questi bellissimi vigneti. 
Non tutta l'uva prodotta, però, viene vinificata: la maggioranza della produzione viene infatti venduta a terzi (cantina sociale compresa) mentre solo la selezione dei migliori grappoli finisce nella piccola cantina aziendale che dopo andremo a visitare. 
Intanto, passo dopo passo, arriviamo nella parte più alta del vigneto di montepulciano, il cui suolo passa in pochi metri dall'argilloso al ciottoloso, da dove il panorama, che va dal mare Adriatico fino alla Maiella, ti fa rendere conto che questo che stai calpestando è un terroir unico.

il vigneto...dall'alto
la parte ciottolosa del vigneto di montepulciano

E' ora di tornare verso la vecchia cantina, il cuore battente dell'attività agricola dell'azienda che non si limita ad allevare solo vigne ma produce anche grano, da cui ricava un'ottima pasta secca, ed olio.
Arrivati davanti alla porta in legno della cantina, Stefano ci racconta un aneddoto:"Quando siamo arrivati io e mia moglie questo edificio era completamente in disuso. L'ultima volta, per vinificare, lo aveva usato il nonno di Nicoletta che un bel giorno, negli anni '50, decidendo di andare in pensione e godersi queste terre, ha chiuso questo portone lasciando al'interno tutto così com'era, attrezzature comprese. Sai Andrea, la cosa più curiosa è che dopo aver aperto con difficoltà questa porta, mi sono trovato davanti una vecchia Campagnola che sbarrava l'ingresso ad un altro accesso, quello alla cantina vera e propria che era costituita da vecchie botti di legno e vasche in cemento. Le prime, purtroppo, le abbiamo dovuto sostituire dopo essere state inutilizzate per oltre cinquanta anni mentre le seconde le abbiamo ristrutturate e le vedi là in fondo".

Entrando, passando davanti ad un bel torchio "Laverda" ristrutturato egregiamente, troviamo sulla sinistra i caratelli dove affina il vino passito a base pecorino e, subito dopo sulla stessa fila, due tonneaux (usati per il bianco) e due grandi botti di Garbellotto dove sta "riposando" il Prologo 2012. Più avanti le bellissime ed antiche vasche di cemento rimesse a nuovo. Niente acciaio. L'unico contenitore che vediamo viene usato al massimo per far transitare il vino durante i travasi. 

Il vecchio torchio ristrutturato e funzionante
Le vasche di cemento

La fermentazione dei vini, ovviamente, segue la pratica naturale per cui niente uso di lieviti selezionati, nessuna aggiunta di coadiuvanti enologici, nessuna filtrazione, chiarifica e uso della solforosa al minimo indispensabile (la media si aggira sui 40 mg/l)

Il primo vino che beviamo assieme a Stefano e sua cognata Lucrezia che ci ha gentilmente raggiunto al tavolo di degustazione è stato Le Cince 2012, il Cerasuolo d'Abruzzo di casa De Fermo che parte da uve montepulciano torchiate morbidamente e messe a fermentare in botte grande da 20 HL per sei mesi per poi essere imbottigliato così com'è senza altri fronzoli. In Abruzzo, e in particolare a Loreto Aprutino, questo è un vino importante, memoriale, e De Fermo ha l'onere e l'onore di continuare la tradizione con un Cerasuolo di grande personalità il cui tratto sapido e floreale di fresia e garofano rosso lo rendono di grande temperamento e di beva succosa. Le Cince non fa salasso.


Launegild 2012 (100% chardonnay) è il vino più controverso di De Fermo, uno chardonnay in terra di Trebbiano, vedi Valentini, è come andare con la maschera di Peppa Pig in terra musulmana. Eppure, se togliamo i pregiudizi, è un vino che ha il suo perchè, vuoi per la sua anima minerale, vuoi per la quella freschezza e dinamicità che lo abbastanza peculiare nel panorama, desolante, degli chardonnay made in Italy. Ancora troppo giovane, andrebbe valutato tra un paio di anni. Solo allora, penso, capiremo se e quanto sarà grande.


Il Prologo 2012, il montepulciano d'Abruzzo di De Fermo, è ancora lontano dal nascere visto che lo si trova ad oggi ancora in affinamento in botte grande. Anzi, in due botti da 20 HL di Garbellotto che, al loro interno, nascondono un segreto. Già, perchè il vino che viene spillato dal loro interno, essendo lo stesso come uguali sono i legni, è diverso? La prima, infatti, fornisce un montepulciano quasi domato, minerale e fresco mentre dalla seconda il vino ruggisce, è potente e dotato di un un tannino fervido e graffiante con finale giocato quasi totalmente sulla frutta nera. Misteri enologici. Tanto poi, mi spiega Stefano, si farà unica massa e tutto farà media.

Le botti dove affina il Montepulciano

La chiusura, dolce, è con il pecorino passito "Pié di Tancredi" che al momento della nostra visita era stato appena travasato (artigianalmente) in damigiana e che, normalmente, affina in caratelli (vedi foto sotto). Ovviamente, essendo ancora in fermentazione, non si può giudicare anche se la materia sottostante fa ben sperare per il futuro anche se non si sa bene quando questo vino vedrà la luce. Al massimo, come dice Stefano scherzandoci su, la famiglia avrà il suo vino dolce per tanto tempo. Piccola nota di colore: tra un assaggio e l'altro di passito la migliore bevuta, chissà perchè, è venuta dal vino proveniente da un piccolo caratello che De Fermo ha messo da parte per Don Elio. Trattasi di Vino Incorruptum senza solfiti. Secondo me  non arriverà mai in chiesa.......

Il passito in damigiana
Il vino per Don Elio
E' tempo di ripartire, salutiamo Stefano e tutta la sua bella famiglia. La convinzione, tornando a Roma, è che da qualche tempo Loreto Aprutino non è solo Valentini. Tante realtà si stanno facendo strada (vedi anche Torre dei Beati). Avanti così, nel segno della qualità e del rispetto per il territorio.




A lezione di Bonnes Mares Grand Cru con Roumier e Dujac 2002

La Borgogna è una scuola, probabilmente non finirò mai di imparare ma ho grandi maestri e la speranza di capirci qualcosa è molto alta.

Poco tempo fa mi si sono spalancate le porte di una delle denominazioni più affascinanti della Regione, Bonnes Mares, un Grand Cru storico che attualmente si estende per circa 15 ettari tra Chambolle-Musigny (13.5 ha) e Morey-Saint-Denis (1.5 ha).


Sebbene l'etimologia del nome non sia chiara, si pensa che il nome Bonnes Mares faccia riferimento alla vicina abbazia di Notre Dame de Tart, primo monastero cistercense femminile istituito nel 1125 dove, al tempo, vivevano le cosiddette Bonnes Meres (buone madri).

Oggi la denominazione appartiene a circa quindici produttori che sono entrati in possesso del loro appezzamento di terra grazie ai loro antenati e alle leggi di successione napoleonica che prevedevano la suddivisione della terra in parti uguali tra tutti i membri della generazione successiva. 

Dal punto di vista geologico, in linea generale, si può dire che i terreni di  Morey-Saint-Denis sono più ricchi e profondi e, per conseguenza, producono vini più potenti ed austeri mentre Chambolle-Musigny si caratterizza per un suolo più leggero, sottile, con una maggiore percentuale di calcare, caratteristica che dona eleganza e setosità al pinot nero di quella zona.

Per capire quanto finora scritto basta avere nel bicchiere i seguenti vini.

Il primo Bonnes Mares Grand Cru 2002 che ho nel bicchiere è di Dujac, grande produttore di Morey-Saint-Denis. Inizialmente, mettendo il naso nel bicchiere, sembra di entrare all'interno di una sala dove al centro è presente un grande camino. L'odore di brace e cenere invade la sala di degustazione e annusando il bicchiere vengo trasportato in questa dimensione parallela che solo un grande Borgogna può offrire. Col tempo il vino si apre trasportandomi, stavolta, in un contesto dove floreale e balsamico si rincorrono come cane e gatto, senza mai acciuffarsi. Al palato è profondo, austero, riempie la bocca, ogni millimetro quadrato del nostro cavo orale ha un sussulto edonistico ogni volta che è a contatto con una molecola di questo grande Bonnes Mares. A Morey-Saint-Denis, ora lo so, c'è un indirizzo sicuro!


Foto: www.vinfolio.com

L'altro Bonnes Mares Grand Cru, sempre 2002, è di un signore chiamato Georges Roumier da Chambolle-Musigny. 
Per molti appassionati monsieur Roumier è sicuramente il migliore interprete della denominazione. Chi non lo conosce e lo beve per la prima volta capisce da subito perchè i vini di questo produttore hanno un non so che di mistico.
Rispetto a Dujac questo pinot nero è maggiormente profondo, carnoso, il liquido si trasforma in frutto sinuoso e carne, l'odore ematico misto a quello dei fiori rossi secchi dà un senso oscuro e affascinante al vino che potrebbe sedurti e succhiarti l'anima come un vampiro ad Halloween. 
Al sorso il vino acquista una tridimensionalità inaspettata ma invocata e progredisce elegante ed inarrestabile fino a quando, compulsivamente, non ne bevi ancora, ed ancora, fino a strizzare la bottiglia.

Foto: www.vinfolio.com
Grazie, davvero, a chi ha voluto condividere queste bottiglie con me. La grande Borgogna, a volte, passa per vere storie di amicizia e passione!

Ad Istanbul si beve Boza

Estate 2012, prima del casino di oggi.

La Turchia è ancora nei miei occhi e nel mio cuore nonostante abbia trovato una qualità media di vino e birra abbastanza bassa dipesa, anche, delle leggi islamiche che proibiscono l'alcol visto più come una bevanda per dissetare i turisti.

Ad Istanbul, per ovviare a questa carenza di alcol, ho seguito il consiglio di alcuni miei amici che mi hanno spedito a bere Boza.
L'unico posto nella città in cui, da oltre cento anni, è possibile gustare questa bevanda è il Vefa Bozacisi, un locale aperto dal 1876 all'interno dell'omonimo quartiere di Vefa, a due passi dalla moschea di Suleyman e vicino all'università di Istanbul.
La via per arrivare al Vefa Bozacisi è tutt'altro che turistica, percorro viuzze che sembrano uscite da una cartolina della Sicilia degli anni '50. Attorno a me solo vecchietti che all'ombra giocano a backgammon e negozi antichi che vendono prodotti dall'etichetta scolorita dal tempo.
Con la mappa in mano mi aggiro per Vefa alla ricerca della mia meta che non tardo ad individuare visto che tutta la popolazione del quartiere, capendo che da turista potevo solo cercare questo locale, mi aiutava con strani gesti manuali la via migliore per arrivare a destinazione.
Eccola là il Vefa Bozacisi, l'entrata e il suo interno non devono essere cambiati molto da quando Hadji Sadik Bey, bisnonno dell'attuale proprietario, giunse ad Istanbul dall'Albania stabilendosi in questa zona che, ai tempi, era considerata residenziale.


Foto: www.wittistanbul.com
Ma cos'è la Boza? E' una bevanda piuttosto densa derivante dalla fermentazione del bulgur, un cereale, con l'aggiunta di acqua e zucchero. A fine '800 ad Istanbul la produceva una comunità armena ma, rispetto all'attuale, era molto più acida e diluita. Probabilmente ad Hadji Sadik Bey non piaceva in quel modo e così si inventa la sua Boza, la Vefa Boza, più densa e meno aspra e nel 1876 registra il marchio Bozacisi Vefa.

Foto: www.tripadvisor.com
Tradizionalmente la bevanda si consuma in inverno con l'aggiunta di ceci tostati, che dovreste comprare al negozio di fronte, e cannella in polvere. In Agosto, fortunatamente, si "alleggerisce" il tutto eliminando i legumi.

La Boza nel mio bicchiere a prima vista sembra crema con sopra della cannella, la consistenza e i colori sono quelli. Bevendola ti rendi conto dell'originalità organolettica della bevanda, un misto tra succo un succo di pera denso a cui aggiungi dell'amido. Al gusto è pungente, soprattutto nel finale dove riconosci quell'acido lattico presente in grandi quantità nella bevanda e che, dicono, sia prezioso per le neo mamme e per combattere il colera.


Foto: mademoiselleistanbul.com
Sarà per quell'aspetto apparentemente goloso da crema liquida, sarà per quel fascino da bevanda rara e decadente, sarà per il tempo che da queste parti sembra essersi fermato, ma a  me la Boza è piaciuta, tanto da dovermi finire anche quella di Stefania che, un pò schifata, al primo sorso l'ha lasciata là...

Ovviamente il simpatico titolare vende anche Boza in bottiglia da portar via assieme ad altre specialità della casa come succo di limone, aceto, aceto balsamico e succo di melograno. 

Ah, potevamo anche bere del Sire, un fermentato d'uva ma......stavamo bene così.

Vi lascio con alcune bellissime fotografie tratte dal sito Istanbul for 91 days. Le immagini parlano più di mille parole...