Il Soave e i suoi Cru hanno conquistato Roma - Prima parte

Il titolo di oggi sembra una frase fatta ma, chi ha partecipato, può assolutamente testimoniare il successo della due giorni di seminari organizzati presso il Wine Bar Trimani ed il Simposio di Costantini e tenuti dal bravissimo Giovanni Ponchia, enologo del Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto Soave, al quale va tutta la mia gratitudine per aver creduto nel progetto.

Giovanni Ponchia

Tante le nozioni che abbiamo imparato da Giovanni, a partire dall'inquadramento della zona di produzione del Soave che è situata nella parte orientale dell'arco collinare della provincia di Verona (a nord dell'autostrada serenissima, tra il 18° e il 25° km tra Verona e Venezia). Essa comprende in tutto o in una parte i territori del comune di Soave, Monteforte, San Martino Buon Albergo, Lavagno, Mezzane di Sotto, Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi, Cazzano di Tramigna, Roncà, Montecchia di Crosara, San Giovanni Ilarione e San Bonifacio.

Le denominazioni del Soave con relativa mappa

Non solo. Abbiamo scoperto che il Soave di qualità viene prodotto a partire da uve garganega (almeno 70%) e trebbiano di Soave (tra il 10% e il 30%) che trovano la loro massima espressione e identità grazie alla specifica identità geologica dei terreni di origine vulcanica con importanti affioramenti calcarei la cui carta di identità è stata presentata dallo stesso Ponchia e che io, con grande piacere, vi fornisco grazie all'immagine sottostante

I suoli del Soave. Clicca per ingrandire immagine


Creando un match tra le due cartine soprastanti è facile comprendere come, nell'areale del Soave, la qualità sia espressamente legata alle caratteristiche pedologiche ed ambientali del territorio tanto da creare una vera e propria Piramide della Qualità del vino.


Alla base, come possiamo vedere, c'è il Soave Doc, prodotto da uve coltivate in pianura su suoli di carattere alluvionale che, dati del Consorzio alla mano, viene prodotto in 40 milioni di bottiglie rappresentando, da sempre, la testa di ponte verso i mercati esteri grazie al suo ottimo rapporto q/p.
Al di sopra, poi, troviamo la denominazione Soave Classico Doc, ottenuto nella fascia collinare dei comuni di Soave e Monteforte d'Alpone, territori nei quali si trova la zona originaria più antica, detta "zona storica" e delimitata già nel 1931, il cui suolo, così come possiamo vedere dalla cartina, è formato da un substrato di rocce vulcaniche. 
Infine, al vertice qualitativo della piramide, c'è il Soave Superiore, DOCG nel 2001, la cui zona di produzione è limitata alla sola area collinare del territorio coincidente con la denominazione Recioto di Soave Docg. Ovviamente, come si può notare dal grafico soprastante, il Soave Superiore, che può avere anche la menzione Classico, ha maggiori parametri qualitativi rispetto al Soave Classico Doc e al Soave Doc soprattutto in termini di resa per ettaro e affinamento prima dell'immissione al consumo.





CLICCA QUA PER LA SECONDA PUNTATA DEL SOAVE A ROMA

Lo Champagne Polisy di André et Jacques Beaufort

Se un giorno mi avessero detto che avrei "guidato" una verticale di Champagne mi sarei messo a ridere perchè in Italia, per non parlare di Roma, c'è gente molto ma molto più preparata di me.
Un pizzico di fortuna e amici temerari che credono nel sottoscritto possono ridefinire il destino di un wine blogger che, un pomeriggio di giugno, può essere catapultato al Wine Expo di Zagarolo per incontrare Réol Beaufort, uno dei figli di Jacques, per vivere assieme a lui una degustazione anticonformista e, forse, irripetibile.

Descrivere la filosofia di Jacques Beaufort non è cosa semplice viste le sue mille sfaccettature per cui, complice un pubblico vasto ed eterogeneo, dovevo trovare le parole adatte a preparare gli ospiti ad una esperienza degustativa "inedita". 
Come iniziare l'evento? Beh, migliore risposta a questa domanda non poteva che essere data dalla guida 99 Champagne che così descrive Beaufort e i suoi Champagne:
Non sono assolutamente champagne per iniziati, ma champagne che trovano il loro primario valore nell'essere espressione di una vigna curata in modo maniacale e un'uva di qualità assoluta, valore che si percepisce ad ogni sorso, sorso a volte forse manchevole di alcuni "canoni" estetici di perfettibilità che non gli devono appartenere.Qui non c'è nessuna ricerca estetica, c'è semmai la ricerca etica di uno champagne fatto con un'uva e non con un'altra, che viene da quella terra, e non da un'altra, in quella determinata annata e non in un'altra, frutto di una trasformazione in cantina che vuole rispecchiare e rispettare quell'uva, quella terra, quell'annata.
Poi è toccato a Réol descrivere la sua azienda e fare le veci del papà. Pochi minuti di convenzionalità che, nel prosieguo della degustazione, verranno amabilmente vanificati!!!


Come avete visto nel video, Réol non vedeva l'ora di prendere le bottiglie portate direttamente dalla sua cantina in attesa di essere sboccate. Già, avete capito bene, il nostro vignaiolo per tutte le bottiglie ha effettuato in sala un dégorgement à la volée. Avete mai visto come si fa? Eccolo!!



La verticale, come scritto in precedenza, ha riguardato solo ed esclusivamente lo Champagne proveniente dalla zona di Polisy che rappresenta uno dei due territori, l'altro è Ambonnay (Grand Cru), dove Beaufort ha impiantato le vigne di pinot nero, in prevalenza, e chardonnay.

Degustare in maniera tecnica ed oggettiva uno Champagne appena sboccato potrebbe essere lavoro fattibile. 
Degustare in maniera tecnica ed oggettiva uno Champagne mentre Réol cerca di innaffiare i sommelier col vino stile premiazione Formula 1 potrebbe essere moooooolto più complicato. Mi impegnerò!

Champagne Beaufort Polisy 2010 (100% pinot nero): l'annata abbastanza difficile viene interpretata magistralmente dal produttore che dà vita ad un vino di bella struttura e solidità con note intense di frutta gialla e spezie orientali a cui segue un sorso rotondo, intenso e di grande persistenza sapida. 


Champagne Beaufort Polisy 2009 (100% pinot nero): l'annata favorevole si sente subito annusando il vino che in maniera franca si esprime su sensazioni di freschezza. Se quello di prima era già uno Champagne adulto, questo invece è uno ragazzino un pò bullo e ancora con i brufoli che mostra solo durezza ed arroganza minerale. Appagante il sorso e la sua persistenza finale che va avanti per minuti.

Champagne Beaufort Polisy 2008 (80% pinot nero, 20% chardonnay): l'annata molto classica, più pronta rispetto alla 2009, si percepisce subito anche se, in una ipotetica scala evolutiva, il vino si piazza a metà strada tra la 2009, sbarazzina, e la 2010 con i suoi fianchi larghi e confortanti. Fruttato, con tratti terrosi e speziati, ha un ottimo equilibrio alla beva dove la sapidità gioca una partita tutta sua prolungando oltre misura la persistenza. Così com'è, oggi, è lo Champagne che preferirei, per molteplicità di abbinamento, su una tavola imbandita.

Champagne Beaufort Polisy 1997 (80% pinot nero, 20% chardonnay): l'annata è stata particolarmente difficile ma Beaufort è riuscito comunque a fornire alla vigna un buon equilibrio che, di pari passo, troviamo anche nel vino che dopo 17 anni si svela dotato di bella complessità aprendosi su note di frutta secca, cotognata, iodio, tocchi di miele e zenzero. Sorso solido, concreto, dove acidità e sapidità sono ancora abbastanza graffianti e performanti. Un primo approccio ai grandi champagne invecchiati firmati Beaufort!

Champagne Beaufort Polisy 1996 (80% pinot nero, 20% chardonnay): come descrivere uno champagne così in una delle migliori annate di sempre? L'unica cosa che mi viene in mente è un'armata invincibile dove fanteria, cavalleria e divisione corazzata sono perfettamente coese facendosi ammirare per forza e magnificenza. E' un bere psichedelico, può creare dipendenza.

Champagne Beaufort Polisy 1989 (80% pinot nero, 20% chardonnay): ed eccolo qua il vecchietto del gruppo che molti tra i partecipanti davano sulla via dell'ospizio. Ed invece no!! Tiè! Bello pimpante e non troppo brizzolato si fa apprezzare per un ventaglio di aromi che vanno dal caramello alla crema bruciata fino ad arrivare alla noce, al pepe bianco e alla mineralità quasi rossa. Sorso dinamico, appagante, florido con ottimo allungo finale. Una bella conferma e, per molti, una grande sorpresa!



Memorie di un cameriere ligure. Gianni Ruggiero scrive per Percorsi di Vino

Gianni Ruggiero, oggi, potremmo definirlo un vero e proprio manager della ristorazione essendo una di quelle poche persone alle quali puoi affidare tranquillamente le chiavi del tuo locale che, stai sicuro, verrà gestito nel migliore dei modi.Gianni, invece, si definisce semplicemente un cameriere. Non per falsa modestia, chiariamoci, ma perchè semplicemente è legato ad una visione lavorativa che oggi scarseggia ovvero quella di una figura professionale preparata a 360° che vede la sala come il suo regno e i clienti come amici da coccolare e viziare.Gianni lavora al Simposio di Costantini a Piazza Cavour (Roma) e lo potrete riconoscere perchè è l'unico che, contemporaneamente, può preparare al volo una tartare di fassona, consigliare il cliente sul migliore vino in abbinamento e, perchè no, sorridere ed essere il miglior confidente degli altri clienti che si rilassano nel locale.A Gianni ho chiesto di scrivermi alcune sue memorie, frammenti di un passato che difficilmente ritroveremo. Per me è un piacere condividerle sul blog.....

Bisogna essere ristoratore, di quelli veri, oppure un semplice "cameriere di esperienza", come mi piace considerarmi, per apprezzare fino in fondo quel momento intenso e pieno di poesia che vede l'ultimo cliente andarsene dal tuo locale. 
La porta si chiude e si spalanca l'ultima luce della notte, appena prima del giorno che arriva. La frenesia della prestazione, la noia che a volte arriva con la ripetizione, lo stupore di emozionarsi ancora davanti a un cliente che "ne capisce" e ti racconta un suo pezzo d'infanzia, commosso da un piatto di funghi e patate fatto con amore, si sciolgono in questo momento magico in cui si può vagare sul palcoscenico, finalmente vuoto, dove passi tutti i giorni della tua vita di lavoro. In questa solitudine impregnata di fantasmi la testa vaga e tutto si accelera e rallenta col ritmo del tuo cuore. 


Gianni Ruggiero al suo Simposio

E' in una notte così, nel disordine delle bottiglie accatastate, delle tovaglie macchiate di presenze appena partite, nel colpo d'occhio della cucina ancora da rigovernare, dei bicchieri un poco tristi con qualche rimasuglio di Nebbiolo, che penso a mio padre che ordinava vino sfuso dall'azienda piemontese di turno ed in omaggio riceveva 6 Barolo e 6 Moscato d'Asti imbottigliato. Si, perché la bottiglia voleva dire festa e "loro" venivano stappate nei giorni più felici dell'anno. Certo, è un passato che forse non c'è più ma se oggi il Piemonte vanta 16 DOCG e 42 DOC, non scordiamocelo, lo si deve al vino in damigiana comprato da mio padre, ai commercianti dell'epoca e, perchè no, ai tanti contadini che si improvvisavano anche trasportatori di vino.

Già, il Nebbiolo, un vino capace di esprimere come nessun altro tutte le sfumature dell'eleganza e della complessità che può prendere varie sfaccetttature: la freschezza nervosa del Lessona, la femminilità e la seduzione del Fara, l'asciutta compostezza del Barbaresco, la pienezza e la ricchezza del grande Barolo. É questo spirito, lo spirito di uomini dalle mani callose e l'animo candido, che ha reso grande questo paese, non dimentichiamolo mai.

Panorama delle Langhe. Foto:www.piemonte-landofperfection.org

Decugnano dei Barbi, là dove nasce un grande Metodo Classico umbro

Enzo Barbi ci aspetta in mezzo ad un nugolo di motociclisti venuti da chissà dove a visitare una della aziende più rappresentative e suggestive, per il contesto in cui si trova, di tutta l'Umbria.
Il tempo non è certo dei migliori, piove da varie ore, ma questo non ci impedisce di poter ammirare tutta la bellezza del panorama all'interno dell quale si staglia Decugnano dei Barbi, un piccolo borghetto locato sopra una collina con vista a 360° su tutto il panorama dell'orvietano. 
Pertanto, non sono affatto stupito quando Enzo, parlandomi della storia della sua azienda, mi riferisce che il vino di Decugnano già si vendeva in zona agli inizi del XIII secolo quando tutto quanto qua era di proprietà dello Stato Pontificio e prendeva il nome di "Santa Maria di Decugnano".


La storia dei Barbi in terra umbra, invece, inizia alla fine degli anni '60 del secolo scorso quando il nonno di Enzo, che selezionava a quel tempo vino in tutta Italia da rivendere poi in Lombardia, decise di acquistare a suo figlio Claudio (papà di Enzo) un pezzo di terreno nell'orvietano che in quel periodo era molto di moda. "Mio papà spesso di scontrava con mio nonno sul tema della qualità del vino così" - mi spiega Enzo sorridendo - "acquistargli tre ettari di terreno ad Orvieto ha significato lasciargli produrre il vino come voleva lui lasciando al tempo stesso in pace mio nonno che poteva proseguire il suo lavoro senza troppe scocciature!!".
Decugnano ad inizi del 1970 era in vendita e la famiglia Barbi non c'ha pensato due volte ad acquistare la tenuta, a quel tempo in miseria, non solo per la bellezza del posto ma, soprattutto, per il terreno che, rispetto alla zona sud dell'orvietano, non è di tipo tufaceo ma, invece, di carattere marnoso e argilloso e ricco di fossili di ostriche e conchiglie di epoca pliocenica. "Sai Andrea" - commenta Enzo - "mio madre è amante dello Chablis e questa terra ricorda molto quel particolare terroir francese"

Era il 1973 quando Claudio Barbi acquisto il podere piantando, in sequenza, i vitigni storici dell'Orvieto Classico (trebbiano, malvasia e grechetto) e alcune piante di sangiovese e canaiolo iniziando un'intensa fase di sperimentazione, che riguardò anche la spumantizzazione delle uve dell'Orvieto, che prese forma nel 1978 quando comparvero sul mercato tre vini che ancora oggi esistono: il Decugnano bianco, il Decugnano rosso ed il primo metodo classico prodotto in terra umbra.
Otto anni dopo, nel 1981, l'azienda propose sul mercato prima bottiglia italiana di vino da uve botrizzate: Pourriture Noble. Nessuno fino a quel momento si era accorto che la Botrytis Cinerea attaccava anche i vigneti di alcune zone dell'Orvietano.

Claudio ed Enzo Barbi. Foto:www.civiltadelbere.com

Attualmente Decugnano dei Barbi possiede circa 32 ettari di vigneto, 14 anni di età media, dedicati per il 60% a vitigni a bacca bianca (grechetto, chardonnay, sauvignon, procanico) e per il 40% a vitigni a bacca rossa (sangiovese, montepulciano, merlot, cabernet sauvignon, pinot nero, syrah). I vigneti hanno una densità d’impianto di circa 4200 ceppi/ha e vengono allevati a cordone speronato. La resa per ettaro varia dai 50/70 quintali/ha per le uve rosse ai 70/90 quintali/ha per le uve bianche (la resa dei vigneti per la Pourriture Noble è invece di 25/30 quintali/ha).

Entriamo a visitare la prima cantina, quella dei vini "fermi", la cui struttura si è ampliata nel tempo man mano che l'azienda prendeva piede. Una prima ala, infatti, è dedicata alla vasche di fermentazione, tutte in acciaio, dove ognuna, anche la più piccola, è dedicata ai singoli vigneti che poi vengono uniti solo in fase di assemblaggio, mentre l'altra è dedicata all'affinamento e allo stoccaggio delle bottiglie.

Parte della cantina

La parte più bella e suggestiva, però, deve ancora arrivare. Saliamo sul fuoristrada di Enzo e, tra una buca e l'altra, arriviamo all'entrata delle antiche grotte etrusche scavate nella sabbia (non tufo) regno di quel metodo classico che Claudio Barbi, originario di Brescia e con ovvie ispirazioni franciacortine, ha voluto porre in essere nel 1978 spumantizzando le uve tipiche dell'Orvieto grazie all'aiuto di Corrado Cugnasco, enologo aziendale dell'epoca.

Le immagini della cantina, penso, possano parlare per me.

Fonte: Tannico.it

Da notare che l'affinamento sui lieviti dura almeno quattro anni e che la sboccatura, come vedete dalle immagini qua sotto, viene effettuata in maniera strettamente manuale.


Usciamo e fuori piove ancora, più forte, non possiamo andare in mezzo ai vigneti per cui l'unica cosa da fare è andare a degustare un pò di vino al caldo e all'asciutto prima della cena che Enzo ha organizzato assieme ad altri amici. Prima, però, un piccolo grande aperitivo a base di Brut Metodo Classico 2006.


Lo spumante, una cuveé formata da chardonnay (70%), procanico e verdello (30%), è stato sboccato nel maggio del 2013  e si caratterizza per aromi di agrumi canditi, mughetto, pane integrale, ornati da effluvi di nocciola e spunti minerali. All'assaggio ha un registro molto severo, secco, e si caratterizza per una struttura affilata dove ritornano a cascata le impressioni olfattive all'interno di un contesto di assoluto controllo. Il perlage è fine, persistente e la tensione minerale accompagna il sorso per molto tempo.

Foto: Tannico.it

In enoteca costa meno di 20 euro per cui, a mio giudizio, rappresenta per l'Italia un metodo classico dall'ottimo rapporto q/p. Probabilmente in Franciacorta prodotti simili costerebbero quasi il doppio. Shhh, non lo dite a nessuno!

Ah, se volete sapere che mi sono bevuto a cena con Enzo e i nostri amici dovete aspettare che scriva il prossimo post su Decugnano dei Barbi. Già perchè ciò che abbiamo degustato merita un post a parte....

Dopo la grandine, la desolazione dei viticoltori della Côte de Beaune

Dopo i danni degli anni precedenti, soprattutto a Volnay, erano corsi ai ripari perchè non volevano di nuovo essere messi in ginocchio dalla grandine che, da qualche tempo, sembra essere diventata la nuova acerrima nemica dei vignaioli della Côte de Beaune.

Ci avevano provato installando ai primi di giugno ben 34 generatori anti grandine che, in caso di allarme, hanno il compito di vaporizzare una soluzione di ioduro di argento fino a 12 mila metri di altezza con lo scopo, dichiarato, di arrivare fino alle cellule temporalesche e dimezzare le dimensioni dei chicchi di grandine.

Foto:http://www.bienpublic.com/
Foto:http://www.bienpublic.com/

I vignaioli ci avevano provato ma non ce l'hanno fatta. La Natura gli ha giocato un tiro che più beffardo non si può.

Infatti, due giorni fa i vigneti di Santenay, Meursault, Volnay, Pommard sono stati colpiti da una pioggia di grandine che, secondo le testimonianze del luogo, è caduta giù con la forza e la velocità dei proiettili di una mitragliatrice.

Foto:http://www.bienpublic.com/

Il risultato, secondo i vignaioli locali, è rappresentato da un paesaggio desolato e sconfortante caratterizzato da fogliamo tritato e molta uva a terra. Le perdite di raccolto, mediamente, si attestano tra il 50% e il 90% anche se ci vorranno ancora un paio di giorni per capire la reale portata di questa grandinata.

Foto:Timothée Boissy-Ganivet
© Olivier Chanzy

Non resta che la rabbia per questa ennesima beffa del destino anche se qualcuno, leggendo i vari giornali on line, ha già puntato il dito verso la reale utilità dei dispositivi anti grandine che, assicurano, sono stati messi in funzione appena è stata emanata l'allerta meteo.

Ridurre, teoricamente, la dimensione dei chicchi non è bastato e forse non basterà a fermare una Natura che sta cambiando. Pensiamoci...

Web e Vino: arriva la guerra sui domini

Dominio www.brunello.wine in mani cinesi, americane o australiane? L'ipotesi è concreta, da un anno toglie il sonno a viticoltori italiani, francesi e spagnoli, ma ora Bruxelles ha preso una posizione ufficiale. Il commissario (uscente) all'Antitrust, Neelie Kroes, ha scritto all'Icann (la società privata americana che dal '98 assegna i ".com") di non assegnare i domini "personalizzati" (ammessi da un anno) .wine e.vin a chiunque purchè paghi, senza criteri nè controlli su chi siano, dove si trovino, cosa producano e vendano i soggetti che quei web-domini richiedono. Con buona pace della tutela dei marchi dop, dei fatturati di un intero settore europeo e, non secondaria, della salute di consumatori. E infatti già 4 aziende estranee al settore vinicolo avrebbero richiesto l'uso dei domini. 

Foto:www.riccagioia.com

Posto che Bruxelles non può vietare l'utilizzo di suffissi emessi dall'Icann – che per ora attende l'esito dei negoziati tra i rappresentanti europei del vitivinicolo e le aziende che hanno richiesto il dominio – deve però mettere in campo tutto il suo peso specifico – soprattutto nel semestre di presidenza italiano della Ue – per tutelare la qualità del suo alto di gamma alimentare. E all'orizzonte si affacciano i domini .pizza, .moda, .roma. Non sono solo a rischio fette di fatturati. Si profila un furto di identità in grande stile, ai danni proprio di quel patrimonio culturale che noi fatichiamo a far fruttare ma che potrebbe arricchire mani abili e senza scrupoli.

Il Barolo Rocche 2004 di Brovia

L'azienda, situata a Castiglione Falletto, nasce nel 1863 e possiede vigne solo all'interno dei Cru più importanti dell'areale del Barolo: Rocche (terreno abbastanza magro, leggermente sabbioso, piuttosto sciolto e tendente al calcareo con esposizione Sud-Est e altezza di 350 metri)Villero (ha un terreno moderatamente argilloso, calcareo e compatto con esposizione Sud-Ovest e altezza di 340 metri) Garbelet Sué (ha un terreno variegato formato da una parte ricca d’argilla con una parte di calcare, una parte argillosa e una sezione prettamente calcarea con esposizioni Sud e Sud-Ovest e una altezza di 250 metri) in Castiglione Falletto mentre a Serralunga d’Alba abbiamo la vigna di Ca’Mia che presenta un terreno argilloso e calcareo con esposizione Sud-Est e Sud e una altezza di 350 metri.


Le Rocche - Foto: http://soyouwanttobeasommelier.blogspot.it/

I Brovia nella vinificazione e nell'affinamento dei loro Barolo sono puramente tradizionalisti per cui i vini sono sempre affinati in botti di rovere di Slavonia e di rovere francese di dimensioni di circa 30 Hl. 

Tornando al Barolo Rocche 2004, la cosa che ti colpisce di più, appena lo versi nel bicchiere, è l'intensità e l'eleganza olfattiva del vino, una scia profumata di agrume rosso che ti catapulta dentro un aranceto per qualche minuto risvegliandoti bruscamente quando, con due schiaffi di mineralità rossa, vieni riportato ad un presente fatto di sfumature di rosa canina e viola. Col tempo, invece, la farfalla sembra diventare una falena e il Barolo tende a scurirsi creando costellazioni di erbe aromatiche, cuoio, goudron e china. In bocca, inutile dirlo, ha solida struttura, equilibro, trama tannica finissima e setosa. Che bel vino!

Foto di quel gran Beone di Andrea Federici

Tenuta Le Velette: il mio viaggio nel terroir di Orvieto continua!

Villa Felici, il quartier generale della Tenuta Le Velette fa sfoggio di tutta la sua bellezza appena superata la rupe di Orvieto.
Corrado Bottai, attuale proprietario, e il mio amico Fabio Ciarla, responsabile della comunicazione, mi aspettano appena fuori il grande portone di ingresso di questa dimora storica che nel corso dei secoli è stata al centro di interessi, non solo vitivinicoli, di etruschi (che scavarono qui grotte nel tufo), romani, monaci, feudatari fino ad arrivare, nei primi anni '50 del '900 ad essere di proprietà dell'agronomo toscano Marcello Bottai (papà di Corrado) e della moglie Giulia, discendente della famiglia Felici, che scelsero la tenuta come dimora e, soprattutto, come punto di riferimento per la valorizzazione dei vini non solo aziendali ma di tutto il territorio grazie alla promozione della formazione di strutture di tutela della viticoltura del territorio.


L'esterno di Villa Felici

Corrado, dopo esserci salutati con calore, mi dice:"Entriamo!"

Superato un primo ingresso troviamo un piccolo portone oltre il quale si esce nuovamente dalla dimora che, da questo lato, fa confluire il visitatore all'interno di un terrazzo naturale con affaccio su parte dei vigneti aziendali e su Orvieto. La vista è fantastica.


La vista dalla terrazza

Bottai, da perfetto Cicerone, mi parla del territorio e delle sue differenze. "Vedi Andrea, ad una ventina di chilometri da qua trovi il lago Bolsena, di origine vulcanica, la cui formazione ha portato al deposito di una enorme quantità di materiali che ha creato questo terreno qui composto, nella parte sottostante da argilla marina, poi abbiamo la lava raffreddata senza contatto con l'aria che ha formato il basalto mentre il  materiale sparato in aria dall'eruzione, tra cui cenere e lapilli, ha creato il tufo che oggi rappresenta la superficie del terreno agrario. Questo, essendo molto poroso, si comporta come una spugna che assorbe acqua che facilmente viene assorbita dalla radici che, in ogni condizione climatica, hanno una umidità sempre costante evitando al vigneto lo stress idrico tipico, ad esempio, delle stagioni torride.

Tenuta Le Velette si estende per circa 100 ettari di vigneto che possiamo dividere in tre grandi sezioni ognuna delle quali ha caratteristiche microclimatiche distinte:




Podere Belvedere (in verde) è una porzione di circa 45 ettari si caratterizza per l’esposizione a sud est che la rende ben soleggiata già dai primi raggi del mattino ma con temperature fresche nel pomeriggio. Questo, insieme alla vicinanza del bosco limitrofo permette un clima mitigato favorevole allo sviluppo e al rispetto degli aromi delle uve. Sono qui coltivati soprattutto vitigni a bacca bianca come trebbiano, malvasia, verdello, drupeggio, grechetto e il sauvignon blanc. Nascono quindi da qui Berganorio, Lunato e Traluce.

Podere Citerno (in beige) è composto da Ventinove ettari di terreno con esposizione a sud-ovest che beneficiano del sole da mattina a sera, con buone escursioni termiche tra giorno e notte ma con un microclima mitigato dai boschi limitrofi, condizioni che facilitano la sintesi e il mantenimento degli aromi e contemporaneamente una buona sintesi di zuccheri e sostanze polifenoliche. Un terreno adatto ad ottenere uve bianche per vini pieni e aromatici e uve rosse ricche e fragranti. Si coltivano in questa zona le varietà dell’Orvieto classico destinate alla produzione del vino amabile, il miglior grechetto, sangiovese, canaiolo e il moscato e il sauvignon per l’appassimento. Nascono da qui Rasenna, Sole Uve, Il Raggio, Monaldesco e, in parte, Lunato e Rosso di Spicca.

Podere Spicca (in blu) è la parte più soleggiata della tenuta, una porzione di circa 29 ettari con esposizione a sud-ovest che permette alle piante di beneficiare dei raggi del Sole dall’alba al tramonto. La zona, non delimitata da boschi e caratterizzata da terreni più chiari, è soggetta nei mesi di Settembre-Ottobre ad ampie escursioni termiche giornaliere, che facilitano la sintesi e l’accumulo degli zuccheri e dei composti polifenolici indispensabili per la qualità dei vini rossi. Molte delle varietà a bacca rossa sono coltivate in questa zona, in particolare sangiovese, merlot e cabernet sauvignon. Nascono quindi qui Rosso di Spicca, Accordo, Calanco e Gaudio.

Torniamo all'interno della casa padronale, stavolta la sorpresa e lo stupore è ancora maggiore quando, scesi una trentina di scalini nascosti da una porticina, arriviamo in un luogo storico di grande suggestione ovvero i circa cento metri di grotte di tufo scavate nel tufo usate nel corso dei secoli per conservare sia cibo che vino e, successivamente, come rifugio. Oggi, invece, rappresentano un ottimo luogo dove far riposare le annate storiche dei vini aziendali. 





Spero che le foto facciano comprendere la bellezza del posto!

Un rapido giro nella cantina di fermentazione, divisa in una parte più vecchia formata da vasche di cemento e da una parte più moderna composta da solo acciaio, e arriviamo nei "locali di affinamento" rappresentati, anche in questo caso, da più grotte interrate e scavate nel tufo usate forse dai monaci in passato per seppellire i morti (!!) e che ora Corrado utilizza per affinare in barrique  i suoi vini più importanti. 


Entrata

Sta cominciando a piovere per cui, di corsa, entriamo nella sala degustazione dove ci aspetta una batteria di vini non indifferente (l'azienda produce circa 250.000 bottiglie suddivise tra DOC locali (Orvieto Classico, Orvieto Classico Superiore, Rosso Orvietano, Orvieto Classico Amabile) e IGT di livello sperimentale.



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico "Berganorio" 2013 (procanico 30%, grechetto 30%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio (5%): senza pretese ma dotato di una beva di sorprendente freschezza e godibilità. E' il vino della convivialità a tavola!



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico Superiore "Lunato" 2013 (trebbiano 20%, grechetto 40%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio 5%: è uno dei migliori Orvieto Classico del territorio e lo si capisce subito grazie ad un naso complesso e variegatamente minerale ed ad un sorso ricco, sapido, di struttura e di grande personalità. Bella persistenza finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Grechetto 2012 (grechetto 100%): Corrado viste le potenzialità del vitigno ha voluto dar vita ad un vino ancora in via sperimentale ma che già oggi mantiene delle promesse importanti fatte di un corredo aromatico che sa di sale e frutta gialla al sole e di un sorso molto "slow" che progredisce però col tempo in  maniera inesorabile. Finale di buon equilibrio e sapidità.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sauvignon 2013 (sauvignon  blanc 100%): il mio pregiudizio per un vitigno che in Italia non trovo espressioni di eccellenza è in parte rivisto per un vino fortunatamente non aromatico (non puzza di pipì di gatto per intenderci) e caratterizzato da un buon bilanciamento tra compomenti di frutta esotica e vegetale. Bocca molto regolare, senza sbavature.



Tenuta Le Velette - Rosso Orvietano "Rosso di Spicca" 2012 (sangiovese 85% e canaiolo 15%): la versione rossa del Berganorio, grande bevibilità e schiettezza. A tutto pasto!



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sangiovese "Accordo" 2009 (sangiovese 100%): naso disposto su sensazioni di frutta matura, vaniglia, carrube. Giusta morbidezza, dolce il tannino e lungo e avvolgente il finale sapido.

Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Gaudio" 2009 (merlot 100%): ha profumi di chiodi di garofano, cannelle, marasca e cuoio mentre in bocca si fa valere per la grande pienezza e la potenza mediata. Lungo e minerale il finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Calanco" 2009 (sangiovese 65% e cabernet sauvignon 35%): ha un naso notevole costruito su una lieve base di vaniglia sulla quale svettano sensazioni di viola mammola, frutti di bosco, tabacco da pipa, erbe aromatiche, cioccolato alla frutta. In bocca è aristocratico, con tannini decisi ed una lunghissima chiusura su note di spezie dolci ed frutta nera. 



Ringrazio Corrado Bottai, quella appena passata è stata una bellissima esperienza e, senz'altro, ci sarebbe ancora tanto da parlare, da bere e da scoprire a Le Velette: Mi attende, però, Enzo Barbi e sono terribilmente in ritardo. Accendo velocemente la macchina. La scoperta dei vini di Orvieto è ancora all'inizio!!!


Vigneti estremi o, semplicemente, alternativi

Su Drink Business poco tempo fa è uscito un articolo relativo ai vigneti più estremi del mondo tra i quali sono stati inseriti:


La foto di sopra mostra i vigneti tailandesi della Siam Winery posti sul delta del fiume Chao Phraya. Piante galleggianti situate su isole separate da canali d'acqua che refrigerano le uve evitando l'essiccazione dovuta al grande calore.


Bellissimi i vigneti dell'isola di Fogo (Capo Verde) situati alla base di un vulcano attivo all'interno di un territorio molto simile a quello lunare. Due le cantine che vinificano in questo luogo: Sodade e Cha das Caldeiras.



Chi pensava che la Champagne fosse la regione vitivinicola più a nord del mondo si sbaglia. E è in errore chi pensa che il Regno Unito sia l'ultima frontiera. Già perchè in Svezia, a pochi chilometri da Stoccolma, esiste il vigneto Blaxta, circa 3 ettari coltivati a vidal, chardonnay, merlot e cabernet franc. 


Vicino a Il Cairo Karim Hwaidak, proprietario del Sahara Vineyards, gestissce un vigneto di circa 600 ettari che comprende oltre trenta varietà di uva. La sfida col deserto, le enormi escursioni termiche tra giorno e notte, la quasi totale mancanza di pioggia e il terreno sabbioso che non contiene sostanze nutritive è davvero impervia ma, con la passione, tutto si vince.


Sembrano vigne strappate al cielo queste della piccola denominazione svizzera di Beudon. Il vigneto è accessibile solo attraverso un sentiero di montagna molto ripido o  attraverso l'ausilio di una funivia privata di proprietà del Domaine de Beudon, che viene utilizzato per il trasporto dell'uva dalla scogliera durante la vendemmia.



I vigneti di Lanzarote, posti su terreni vulcanici, sono unici anche per la forma di allevamento. Le vigne, infatti, sono inserite all'interno di buche scavate dall'uomo all'interno delle quali crescono le piante al riparo dal vento. Spesso l'agricolotore stende una fine cappa di cenere vulcanica che, assorbendo la rugiada notturna, garantisce alle viti il giusto grado di umidità.

Foto: drinks.seriouseats.com

La Mosella non sarà un nome esotico ma il vigneto Ürziger Würzgarten con le sue pendenze è davvero impressionante. Pensate solo alla vendemmia e alle difficoltà di raccogliere il riesling.